Di solito, tendo a recensire nuove produzioni piuttosto che riprese. Tuttavia, il ritorno a Roma de La Cenerentola di Gioacchino Rossini per una serie di rappresentazioni “fuori abbonamento” mi è parsa un’occasione ghiotta sotto due profili: a) riflettere sulla regia di Emma Dante dopo quella de L’Angelo di Fuoco di Prokofiev , vista, sempre a Roma, in maggio, b) ascoltare un differente cast e un nuovo direttore d’orchestra. Quindi, il 13 giugno 2019 ero tra il folto pubblico del teatro lirico della capitale. Come scritto nel 2016, La Cenerentola era allora tornata al Teatro dell’Opera dopo quindici anni di assenza e come parte di un programma per celebrare le opere di Rossini commissionate dai teatri romani – La Cenerentola dal Teatro Valle e Il Barbiere di Sivigliadel dal Teatro Argentina. La regia era stata affidata a Emma Dante e al suo team di scenografi, costumisti e a mimi. Emma Dante è una regista ben nota ma controversa con esperienza di lirica, soprattutto in Italia e Francia.
Nel 2016, ho scritto che, nelle mani di Emma Dante, questo dramma giocoso è diventato uno spettacolo pop surrealista con una fusione di vari generi di teatro musicale, dalla farsa alla commedia sentimentale, dalla critica sociale alla zarzuela latino-americana, dal teatro delle marionette meccanico a grandezza naturale alla semplice commedia. Dopo tre anni, e a diverse rappresentazioni, i vari elementi si sono completamente amalgamati. Inoltre, sono sfumati i tratti politici e il surrealismo. Il messaggio di base della vittoria della virtù sul male viene espresso con efficacia. L’aspetto più interessante e divertente è che, piuttosto che come spettacolo surrealista, il dramma giocoso è presentato in una scatola di giochi meccanici. Mi è piaciuto molto. Alcune produzioni migliorano man mano che invecchiano.
Il direttore d’orchestra Stefano Montanari ha sottolineato gli aspetti ritmici della partitura più che le sfumature. Da dramma giocoso è diventato quasi un’opera buffa . Il pubblico si è divertito, anche se avrei preferito una bacchetta più raffinata e più attenta alle mezze tinte. Angelina, la protagonista, era Teresa Iervolino, un buon mezzosoprano, come è prassi nell’esecuzione di quest’opera. E’ stata molto brava nell’arduo rondò finale. Tuttavia, penso che il ruolo si adatterebbe meglio a un contralto, con una voce più scura ed un registro più grave, come penso avvenisse ai tempi di Rossini, quando i confini tra mezzosoprano e contralto erano molto labili.
Il tenore era Maxim Mironov nella parte del Principe Don Ramiro. Lo ricordo nello stesso ruolo al Glyndebourne Festival nel maggio 2000, quando aveva solo ventidue anni, e al Teatro La Fenice nel Maometto Secondo di Rossini nel 2005. Era quasi sconosciuto. In entrambe le circostanze, ho previsto per lui una grande carriera nel repertorio lirico di coloratura. Sono contento di aver avuto ragione. Ora è una stella del Rossini Opera Festival e la prova data a Roma conferma che è l’unico vero successore di Juan Diego Flórez. Ha dato una dimostrazione sia della sua abilità nella coloratura che della sua capacità di salire a un registro molto alto e di scendere lentamente verso uno inferiore. È un attore esperto e ha anche un bell’aspetto. Ha ricevuto applausi e ovazioni. La maggior parte degli altri, come Vito Priante (Dandini) e Carlo Lepore (Don Magnifico), provengono dall’esperienza del Rossini Opera Festival.
Rafaela Albuquerque nei panni di Clorinda e Sara Rocchi in quelli di Tisbe, le due presuntuose sorellastre di Angelina, dovrebbero ricevere una menzione speciale. Al pari di Domingo Pellicola, Murat Can Govem, Andrii Ganchuk, Timofei Baranov e Goram Jurič in Angelo di Fuoco sono il prodotto di Fabbrica, la scuola di perfezionamento del Teatro dell’Opera. Questo programma per giovani artisti è ora in competizione con l’Accademia della Scala. Sono nomi da tenere in mente: diventeranno famosi.