Gustav Mahler, a partire dal 1908, trascorse le sue ultime tre estati nella località alpino-dolomitica di Dobbiaco (Toblach). Per comporre in silenzio, lontano sia da Vienna che da New York, una triade di opere somme ‒ all’insegna di quella che potremmo chiamare una riflessione in musica intorno all’umana e generale transitorietà/finitudine ‒ che non a caso, con felice espressione, il musicologo Hans F. Redlich ebbe a chiamare la Trilogia della morte. Ossia: Il canto della terra (una sinfonia per contralto o baritono, tenore e orchestra), la Nona Sinfonia e vari frammenti della Decima. La morte, d’altronde, aveva fatto la sua devastante irruzione nella vita del grande compositore boemo già nel 1907, quando Mahler perse all’improvviso l’amatissima figlia Marie. Dopo breve tempo, inoltre, gli venne diagnosticata una grave disfunzione cardiaca, che non prometteva certo nulla di buono.
L’anno successivo egli decise dunque di trascorrere l’estate in Tirolo ‒ a Toblach, appunto ‒ dove il musicista, per lavorare in pace, prese l’abitudine di ritirarsi in una casupola in mezzo al bosco, tenendosi a debita distanza dal chiasso degli umani. E in tale buen retiro, sia pure funestato da una reiterata crisi coniugale con la sempre più insofferente moglie Alma e da una sempre più debilitante condizione psicofisica, Mahler riuscì a comporre opere eccelse, l’ultima delle quali purtroppo rimase incompiuta/abbozzata. Della Decima ci rimane infatti solo lo splendido Adagio, che esprime l’addio del musicista alla musica ed alla vita.
Su queste tre ultime estati mahleriane, sull’uomo Gustav e sulla Trilogia della morte, Paola Capriolo ha scritto un romanzo di grande respiro; si tratta de Marie e il signor Mahler (Bompiani, 2019), che inizia dall’incontro tra una fanciulla in fiore, per dirla con Proust, e un uomo in declino. Marie è la nipote dei proprietari del maso in cui sono ospitati i coniugi Mahler e a lei è dato il compito di accudirli. Lo farà con discrezione, delicatezza e garbo tali da suscitare la simpatia del Kapellmeister (chiama così il compositore, con un appellativo desueto, la Capriolo: valente narratrice ma pure ottima traduttrice dal tedesco), che un po’ alla volta le consente di entrare nella casetta del bosco, di stargli accanto e di ascoltarlo eseguire al pianoforte brani delle sinfonie che sta scrivendo.
Opere che di primo acchito suonano quasi impenetrabili alle orecchie della ragazza, la quale tuttavia, con l’andar del tempo e con la frequentazione di quello strano signore, impara ad ascoltare la sua musica così struggente/inquietante e a comprendere quanto la vita ‒ al pari delle sinfonie mahleriane ‒ sia intessuta insieme di gioiose melodie e di sinistre armonie; giusto come avviene nella Decima, dove una dolcezza melanconica sfocia in un drammatico, acutissimo e stridente accordo di nove note: “che nessuno ha mai osato prima e forse nessuno oserà mai più, quell’atroce dissonanza che cala come una mannaia al culmine del mio Adagio…”.
Marie si rende pertanto consapevole di quello che in lingua tedesca vien detto Weltschmerz, o dolore cosmico, il quale a suo avviso “è uno per tutti gli esseri, e unica e inconfondibile è la sua voce”. Una voce a cui Mahler è riuscito a dare espressione nelle sue partiture, segnate sempre da un quid: “di eternamente inconcluso, problematico, vorrei dire di tragico, se tragedia significa attraversare i conflitti senza poter mai condurli a una piena conciliazione”.
Le tre estati trascorse assieme a Mahler fanno quindi davvero crescere/emancipare Marie, che rifiuta di sottostare a un matrimonio combinato dagli zii e finisce per isolarsi, come il suo illustre amico, ma anche per prendere consapevolezza delle proprie ineludibili esigenze. Così alla fine del libro pure la giovane sarà destinata a prendere commiato da Toblach, come il compositore, che morirà prima dell’estate successiva e prima di aver terminato la sua Decima sinfonia.
Questo di Paola Capriolo può esser dunque visto anche come un romanzo di formazione: un Bildungsroman, per dirla alla tedesca; concernente sia Marie che lo stesso Mahler. La crescita della giovane donna, la sua maturazione esistenziale va in effetti di pari passo a quella del Kapellmeister che con la Trilogia della morte, benché incompiuta, scrive il proprio capolavoro. Il romanzo rappresenta infine un atto d’amore verso la musica mahleriana. Lo testimonia l’autrice confessando: “Ascoltai per la prima volta Il canto della terra quando avevo pressappoco l’età di Marie, e da allora le opere di Mahler non hanno mai smesso di accompagnarmi”.
Speriamo che l’intrigante libro della nostra scrittrice induca chi ancora non conosce la musica del massimo compositore boemo a iniziarne la frequentazione. Non ne resterà certo deluso.