Nel quotidiano rubarsi la scena tra i due vicepremier, per smarcarsi dal tassapiattismo salviniano, Luigi Di Maio ribadisce nell’intervista a tutto tondo sul quotidiano La Verità, il suo impegno ad alleggerire l’imposizione. Un tema caro agli elettori come ha capito anche il ministro dello Sviluppo e del Lavoro che lo scorso marzo prometteva “con la spending review di quest’anno taglieremo il cuneo”. Ma poi sappiamo com’è andata a finire: i commissari per i tagli alla spesa corrente e agli sprechi della Pa, Laura Castelli e Massimo Garavaglia, non hanno neppure avuto il tempo di mettersi all’opera che si sono visti ritirare l’incarico tornato sotto il controllo dei tecnici del Ministro Tria e per ora nel dimenticatoio, oscurato dal spending deficit che riscuote sempre massimo gradimento.
Di Maio consapevole dell’urgenza di blandire quegli elettori richiamati dalle sirene della flat tax leghista, avanza allora una proposta più articolata che ha poi rilanciato alla platea di Confartigianato. “A me piacerebbe ridurre il cuneo fiscale per le imprese perché quello libera lavoro”. Già perché la pressione fiscale delle imprese italiane è la terza più alta dei paesi dell’Ocse. Un carico contributivo al 47,9% (vuol dire che fatto 100 il costo del lavoro il Fisco se ne porta via circa la metà, contro 26,6% della media Ocse) è un freno alle assunzioni, una zavorra alla crescita e un incentivo al lavoro nero. Tuttavia niente di nuovo sotto il sole. La promessa di sfalciare il peso contributivo delle imprese dell’attuale ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro non è che l’ultima di vent’anni di promesse mai mantenute degli esecutivi precedenti. “Per me ridurre le tasse significa mettere più soldi nelle tasche dei cittadini”.
E qui si sente il pressing della base grillina e Di Maio precisa: “Tante famiglie non ne possono più degli oneri fissi sulle bollette elettriche”. Ricondurre a equità le spese in bolletta “con particolare attenzione agli utenti con bassi consumi applicando a essi una riduzione proporzionale della quota fissa” è da sempre un cavallo di battaglia dei M5S, anche se finora non è riuscito a entrare né nel decreto Semplificazione, né in quello Crescita. Allora, Di Maio annuncia l’arrivo “nei prossimi giorni” di un provvedimento per abbassare gli oneri fissi della bolletta (presumibilmente nel Small Business Act previsto alla fine anno).
È risaputo che questa componente che arriva a pesare oltre il 16% della spesa totale di luce serve per la maggior parte (85%) a finanziare le fonti rinnovabili. Queste però rappresentano uno dei punti cardini del programma nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) con un aumento previsto del 32%. Peraltro, come qualcuno ricorderà, costituiscono anche uno dei punti del famoso contratto di governo che recita: “È necessario (…) tornare ad incrementare la produzione da fonti rinnovabili”.
Pazienza allora se tocca trovare i soldi altrove per sostenere la transizione verso energie pulite, almeno bisogna riconoscere a Di Maio il coraggio di superare la visione distorta, comune a tutti i governanti, di usare la bolletta come un Bancomat per prelevare soldi dalle tasche dei consumatori (e non contribuenti, quindi uscendo dal perimetro della fiscalità) quando serve una copertura di costi per attività d’interesse generale. Peccato però che la mano destra del Ministro non sappia che cosa fa la sinistra. Da settimane l’esecutivo sta studiando la possibilità di un ingresso dello Stato nel capitale di Alitalia legato all’ipotesi di scaricare sulle bollette elettriche un onere di circa 650 milioni di euro.