L’ultimo concerto della stagione sinfonica 2018-2019 dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha avuto luogo il 15-17 giugno; tre esecuzioni, come al solito. Sono stato a quella del 16 giugno 2019 – una calda e soleggiata domenica d’estate, in cui almeno un quarto della popolazione di Roma era andata nelle vicine spiagge. Eppure, il grande auditorium (progettato per un pubblico di tremila spettatori) era pieno. Un fattore determinante è stato il programma “tutto Beethoven”: L’Ouverture Egmont in fa minor Op 84, la Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore, Op 60 e la Sinfonia n. 7 in la maggiore Op 92. Tre brani preferiti per chi ama il repertorio tradizionale.
L’altra determinante era il direttore, Gustavo Dudamel, alla guida della Los Angeles Philharmonic da dieci anni e molto apprezzato sia dall’orchestra sia dal pubblico romano. Ha diretto l’orchestra sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia per la prima volta nel 2005. Da allora, è tornato a Roma alcune volte. Tuttavia, il suo programma è molto inteso. L’ultima volta che ha diretto l’orchestra ceciliana è stata nel 2013, quando ha lasciato un ricordo eccellente, anche perché, con la sua passione ed il suo entusiasmo, sviluppa una forte empatia con l’orchestra e il pubblico. Così, i più giovani e più innovativi nel pubblico sono affascinati da lui. Di conseguenza, la ricetta ‘Beethoven e Dudamel’ è perfetta per accontentare tutti e per convincere i romani a correre alla Sala Cecilia piuttosto che alla spiaggia.
Orgoglio, passione e entusiasmo dominavano sin dal primo brano: l’Ouverture dall’Egmont di Goethe. Soli dieci minuti in tre brevi movimenti (Sostenuto ma non troppo, Allegro e Allegro con brio) introducono una tragedia eroica sulla lotta e sulla morte per la libertà. Dudamel ha diretto a memoria, senza partitura (come, del resto, ha fatto per il resto del concerto) con un braccio largo ed un solida bacchetta ed in modo vibrante e commovente. Dieci minuti di tensioni ed emozione: sia l’orchestra e il pubblico erano euforici.
Ho pensato che sia orchestra e pubblico si sarebbero raffreddati nella esecuzione della spesso trascurata Sinfonia n. 4, sovente oscurata dalla Terza e dalla Quinta Sinfonia. Questo lavoro è considerato, in genere, allegro, di facile comprensione e coinvolgente, con una strumentazione leggera che ricorda le sinfonie di Joseph Haydn, con il quale Beethoven aveva studiato un decennio prima. Dudamel ha dato una lettura molto interessante dall’introduzione in si bemolle minore Adagio molto al primo movimento (che Leonard Bernstein ha descritto come una introduzione misteriosa che aleggia intorno a modalità minori, in punta di piedi, e così restia a stabilirsi nel suo finale in si bemolle maggiore). Dudamel ha sottolineato con vigore il terzo movimento Allegro Vivace e aumentato la velocità del movimento quarto e ultimo, Allegro ma non troppo, che sembrava un’esplosione di gioia.
Dopo l’intervallo, Dudamel ha diretto la Sinfonia No 7, una composizione perfetta per lui e per il suo stile. Il lavoro è conosciuto per l’uso del ritmo come in una danza, con figure ritmiche ripetute. È anche timbricamente sottile, e fa uso delle tensioni tra la, do e fa Il primo movimento, per esempio, è in la maggiore, gli episodi sono in do maggiore e fa maggiore. Inoltre, il secondo movimento è nella minore con episodi nella maggiore, e il terzo movimento, uno scherzo, è in fa maggiore. L’elemento chiave è la forza che, come Sir George Grove ha scritto molto tempo fa, regna in tutta la sinfonia ed esplode nel finale Allegro con brio. Dudamel ha forza ed energia da vendere: ha trascinato sia l’orchestra e il pubblico con la sua forza, la passione e l’entusiasmo. Alla fine, l’ovazione è durata circa dodici minuti.
Questo concerto è stato una buona conclusione di una stagione di campionato reale. Ho segnalato su alcuni dei principali concerti. La prossima stagione avrà inizio il 10 ottobre 2019 con la monumentale Grande Messe des morts di Berlioz, che rechiede un coro di 250 e si concluderà nel giugno 2020 con le scene finali delle tre regine Tudor opere di Donizetti, con Diana Damrau come solista.