Davvero credete ancora che esista un “problema governo” in Italia? O, esattamente come sta accadendo in Gran Bretagna, l’unico vero problema è quello di far digerire nella maniera più indolore e meno traumatica possibile il fatto che il tanto strombazzato “cambiamento” – sia esso un Governo sovranista o l’addio all’Ue – non solo non sia mai esistito, ma, se anche avesse emesso qualche timido vagito, questo sia già stato silenziato nella culla dai freddi e spietati numeri del realismo? Davvero pensate che in un contesto di stravolgimento epocale come quello che stiamo vivendo a livello globale l’Italia possa mettersi in marcia sulla scorta di reddito di cittadinanza e quota 100, ponendosi addirittura alla guida delle avanguardie europee, come millantato dal ministro Salvini per tutta l’ultima campagna elettorale? Davvero credete alla flat tax come rivoluzione liberale di stampo reaganiano?
I giornali, ieri, erano tutti molto concentrati sul voltafaccia del sottosegretario Giancarlo Giorgetti riguardo la questione dei mini-Bot. Di più, il punto di massima caduta delle cronache risiedeva nella fondamentale importanza che si riconosceva alla sconfessione stessa del ruolo dell’onorevole Borghi da parte del numero due leghista, quel “qualcuno gli crede ancora?” che è sembrato un colpo di taglia-erba alle base della volontà di passaggio alla storia come nuovo Keynes del “mister No euro” del Carroccio. Che il primo non stimi il secondo è cosa nota. E non stupisce, visto che Giorgetti di economia ci capisce. Che il secondo sia roso dall’invidia verso il primo è altrettanto noto. Ma, al netto delle questioni personali, il problema sostanziale sta nella natura di pantomima dell’intera operazione in atto: voi pensate davvero che Giancarlo Giorgetti, uno che fa da pontiere con Mario Draghi e il Quirinale, abbia in cuor suo mai creduto per un solo seconda alla bontà di un’idiozia sesquipedale come i mini-Bot? E per farci cosa, per giocare a Monopoli, visto che la lettera scarlatta che li caratterizza sta nel fatto – di primaria e fondamentale importanza, quasi ontologica – che loro accettazione come sistema di pagamento parallelo nel sistema sia su base volontaria, quindi rappresentano nulla più che carta straccia con il timbro dello Stato?
E qui, signori, occorre stare attenti. Perché la sparata di Borghi e soci, sul cui grado reale di condivisione da parte dei vertici leghisti la dice lunga il silenzio social di Matteo Salvini, dopo la battuta di Giorgetti da Losanna, va a innestarsi come una baionetta – di gomma, quella usata dai clown – su un’arma che invece è carica. Ed è, soprattutto, figlia dei tempi. Guardate questo grafico, il quale ci mostra il flusso di crescita di debito con rendimento negativo occorso solo la scorsa settimana a livello globale, dopo l’apertura ufficiale di Draghi a un taglio dei tassi e a nuovo Qe al summit di Sintra: 1,2 triliardi in più di controvalore di debito con rendimento negativo in cinque giorni di contrattazioni, addirittura con il record in un solo giorno toccato giovedì scorso con qualcosa come 700 miliardi di dollari in più. In totale, oggi, siamo al record storico assoluto: oltre 13 triliardi di dollari di carta igienica che al mondo porta con sé valore negativo. Ovvero, per capirci, occorre pagarla un extra per il solo “onore” di detenerla. Nemmeno nel turbine della grande crisi economica si era arrivati a tanto. E ora, cosa accadrà?
Paradossalmente, il peggio potrebbe ancora essere in attesa di palesarsi. Perché la situazione, apparentemente win-win dopo l’annuncio di Draghi, rischia di essere niente altro che un lose-lose mascherato, tutto in mano alla Fed. La quale, come i futures prezzano chiaramente e come ci mostra questo grafico, se a luglio taglierà i tassi (di un quarto di punto o addirittura di 50 punti base, ipotesi attualmente attorno al 20% di probabilità), farà ulteriormente calare quei rendimenti, soprattutto sulla parte a breve della curva. Mentre se andrà contro alle aspettative, non solo li farà calare comunque sul tratto più a lunga scadenza della maturity (vedi il Treasury a 10 anni), ma, al contempo, farà precipitare anche i mercati.
Qualcuno vuole questo? Rispondetevi da soli, facendo un breve punto di quanto accaduto in questo mondo di pazzi dallo scorso ottobre in poi, quando Donald Trump ha iniziato in grande stile la sua campagna di stalking verso Jerome Powell. Ora, guardate quest’ultimo grafico e cercate di mettere il tutto in prospettiva: a livello macro, il mondo non è mai stato così male dal 2008 in poi. Un disastro, alla faccia della ripresa che ci hanno venduto fino allo scorso autunno. In compenso, corsi azionari e fornitura di liquidità globale (ovvero, stimolo monetario della Banche centrali), vanno di pari passo, spedite verso l’empireo degli unicorni. Ma attenzione, quel proxy di liquidità globale in dollari è appunto in parte anche frutto di un’aspettativa: un po’ come l’espansione dei multipli di utile per azione.
Nessuno può in coscienza dire che davvero quelle valutazioni siano giustificate, anzi il più delle volte sono solo auspici auto-alimentanti di ottimismo da bolla, totalmente svincolati da ogni reale appiglio macro. Insomma, per capirci, quella linea linea blu, l’unica che conta al mondo perché è divenuta supporto di quella verde dei mercati, risale non perché la stamperia sia già in azione a forza quattro, bensì perché prezza quanto annunciato – in maniera più o meno esplicita – dalla Fed. E, di conseguenza, vista anche la natura di guerra valutaria in cui si è tramutata la disputa commerciale, della reazione-fotocopia della Pboc, al netto di una Bce che ha già detto che taglierà molto probabilmente i tassi e ricomincerà con gli acquisti.
Come notate, la brutta piega presa dalla linea verde in corrispondenza con il raffreddamento delle attitudini da Qe perenne rappresentata da quella blu nella tarda primavera, ora è rientrata in carreggiata di crescita costante: signori, è tutto lì il giochino. Contano solo le Banche centrali. Il resto, mini-Bot in testa, sono panzane a uso interno. Ma panzane pericolose, perché in un momento simile, in cui anche il minimo errore di percezione rispetto al supporto monetario può scatenare tracolli come quelli vissuto sotto Natale, una cosa è flirtare con il “sogno” dell’Italexit che verrà, come fa Borghi – svegliandosi poi tutto sudato -, un altro è non capire che un po’ di tensione è strumentale al gioco delle parti, ma troppa può risultare fatale. Perché siamo nel tempo della navigazione a vista. E, soprattutto, della mancanza ontologica di controllo assoluto.
Visto che il mercato, nonostante si possa reprimerlo in ambiti sovietizzanti di pianificazione da Banca centrale, ogni tanto per sua natura decide di ricordare a lor signori che l’immondizia è tale, anche se porta rendimento zero o viaggia a 25x di espansione dei multipli su un indice di Wall Street. Il famoso “rossetto su un maiale”, per utilizzare una poco delicata ma efficace metafora di ambito finanziario. E in quei casi, il rischio di farsi male diventa davvero alto. Vedi il 2008. Per questo, dopo aver lanciato l’amo, il sottosegretario Giorgetti ha stroncato sul nascere ogni velleità riguardo i mini-Bot. E, cosa più importante, ha demolito con una domanda retorica e sferzante ai giornalisti, la credibilità del collega di partito e padre più o meno nobile della valuta parallela leghista: perché una cosa è giocare con una bomba a mano dotata di spoletta e muovendosi su materassini, un’altra è lanciarla con forza in faccia a qualcuno, oltretutto innescata e pronta a esplodere.
L’onorevole Claudio Borghi temo che non abbia capito di essere parte in causa di una recita e, con enorme sprezzo della modestia e del senso del ridicolo, pensi davvero di poter dar vita alla sua rivoluzione sovranista, fra debito inteso come credito, calcoli dei conti pubblici degni della miglior finanzia creativa dell’indimenticato Fausto Tonna e mini-Bot che in un futuro non troppo lontano verranno accettati nei supermercati, fra sorrisi patriottici delle cassiere e soddisfazione autarchica dei clienti, il tutto ripreso dalle telecamere dell’Istituto Luce (ovvero il Tg2). Serviva mettere un freno, soprattutto dopo l’uscita di Mario Draghi a Sintra: ora si fa sul serio, la recita del poliziotto buono e di quello cattivo deve finire. Perché adesso, ad esempio, i fondi d’investimento particolarmente esposti sull’obbligazionario cominciano a dover gestire gli effetti collaterali di un mondo in negativo nei tassi e qualcuno, Dio non voglia, potrebbe anche rimetterci le penne.
O, quantomeno, perdere parecchio, anche solo a livello di outflows da panico. Chiedere referenze, proprio in queste ore, ai fondi H20 di Natixis. Non è proprio il momento di fare i fenomeni. Non a caso, lo stesso presidente della Consob, professor Savona, ha richiamato all’ordine il Governo di cui ha fatto parte, intimando la necessità di una dialogo serio da riannodare con l’Ue. E ho detto tutto. E, non a caso, lo ha fatto nel fine settimana, prima del colpo di bazooka di Giorgetti e del conseguente e rumorosissimo silenzio balneare del ministro Salvini.
Attenzione signori, ora non si scherza più. E la pace garantita da una settimana a questa parte dal nuovo Whatever it takes di Sintra potrebbe rivelarsi molto presto solo passeggera ed effimera. E per presto intendo già venerdì e sabato prossimi, quando al G20 di Osaka i due pesi massimi globali, Donald Trump e Xi Jinping, decideranno come rispondere alla Bce. Ora si rischia davvero di ballare, quindi conviene accelerare la crisi in Italia. Per – paradossalmente – calmare i mercati, almeno sul fronte più esposto. Sarà un’estate calda. E non solo per le temperature. Perché qualcuno fa notare che Draghi, a Sintra, avrebbe anche potuto bluffare, paventando ciò che non aveva in realtà concordato con il board e che, quindi, all’atto pratico potrebbe non poter mettere in campo. Il sottosegretario Giorgetti lo sa e vuole anticipare lo showdown, temendo un probabile agosto da incubo, innescato magari da una delusione al board Bce del 25 luglio?