Almeno due ministri del Governo italiano, Toninelli e Di Maio, hanno espresso chiaramente l’intenzione di revocare la concessione autostradale ad Atlantia. Un rapporto del ministero, secondo quanto riparto da più di un’agenzia, dimostrerebbe una non adeguata manutenzione del ponte crollato. Atlantia respinge le accuse.
L’articolo 9 bis della convenzione tra Autostrade per l’Italia e il Governo stabilisce che il concessionario avrebbe diritto a un risarcimento in caso di revoca pari al “valore attuale netto dei ricavi della gestione” al netto di “costi, oneri, investimenti ed imposte prevedibili”. Secondo le stime degli analisti, un valore compreso tra 10 e 15 miliardi di euro ipotizzando che il Governo si assuma, e quindi in aggiunta, il debito di Autostrade per l’Italia (circa 10 miliardi di euro); questo a fronte di un reddito operativo annuo di circa 2,3 miliardi di euro. Economicamente, dal punto di vista dello Stato italiano, questa operazione potrebbe anche avere senso ammesso che il nuovo gestore sia bravo ed efficiente. È chiaro che però che questa non è la questione.
La prossima udienza dell’incidente probatorio è fissata per il 17 gennaio 2020 al tribunale di Genova. I “tempi della giustizia” potrebbero passare tutto sommato senza gravi conseguenze se il Governo italiano non avesse chiesto la revoca della concessione. In quel caso si sarebbe potuto aspettare una decisione e poi, eventualmente, quantificare i danni e decidere come comportarsi con il concessionario autostradale di gran lunga dominante in Italia. Dopo il crollo del ponte la vicenda sarebbe “politica” in qualsiasi Stato del mondo. La questione è complicatissima, da un punto di vista politico, perché il ponte è crollato e perché ci sono una serie di questioni abbastanza oggettive sulla concessione firmata tra Governo e Autostrade per l’Italia. Ne sottolineiamo una su tutte: il monopolista autostradale di uno Stato che ci dicono semi-fallito con due recessioni in meno di dieci anni ha fatto un’offerta per sola cassa sul principale concorrente franco-spagnolo ai massimi degli ultimi dieci anni e senza che un solo fondo infrastrutturale o di private equity alzasse un dito per fare una controfferta in una fase in cui ci sono migliaia di miliardi di asset con rendimento negativo.
Forse quella concessione non è stata il migliore affare possibile per lo Stato italiano. A parità di tutto sarebbe dovuto accadere il contrario. Che il settore delle autostrade italiane abbia bisogno di una “registrata”, insomma, non è una richiesta da pericolosi bolscevichi. E non è solo qualche bolscevico a notare una comunicazione del concessionario prima e dopo non particolarmente accorta e lungimirante.
Richiedere la revoca della concessione significa aprire una lunghissima battaglia legale, significa mettere in crisi il principale concessionario europeo e significa avere un piano chiaro per affrontare queste due emergenze; considerato che l’Italia negli ultimi tre decenni ha accumulato un deficit infrastrutturale pauroso e che l’attuale fase economica consiglia di fare buona spesa pubblica. Deve essere anche chiaro che se è vero che un investitore americano medio comprende che il crollo del ponte di un’autostrada con decine di morti non può non avere conseguenze, comprende che l’Opa su Abertis ha origini chiare, comprende anche che tutto questo non può essere affrontato senza buon senso perché non c’è la fila di persone disposte a investire in un Paese in cui l’ex ad di Ferrovie, Moretti, viene condannato a 7 anni con un epilogo che, sospettiamo, sarebbe stato impossibile in qualsiasi altro Stato civile.
Noi comprendiamo che c’è una parte del Governo che negli ultimi mesi ha incassato una fila abbastanza lunga di “sconfitte” dato che la Tav Milano-Genova si farà, quella Milano-Venezia anche e ci sembra anche quella Torino-Lione. In aggiunta a delle Olimpiadi che sarebbero il male assoluto, alla “pace fiscale” e a un reddito di cittadinanza molto meno “impegnativo” di quello che si prospettava. Serve, probabilmente, una battaglia per galvanizzare il popolo, ma la questione, quella del monopolio autostradale italiano, è molto complicata per tantissime ragioni ed è facilissimo trasformare pur buone e, persino, ragionevoli richieste in disastro. Da fuori ci sembra che non ci sia un piano preciso, che si sottovaluti enormemente quello che sarà il dopo, che la preparazione sia quasi inesistente. I “proclami” sul sogno delle autostrade gratis farebbero paura anche se avessimo una foto del concessionario che piazza della dinamite sotto il ponte. È una questione di politica industriale o è una questione particolare? Cosa d’altro si vuole “gratis” in Italia?
Così come viene posta in questi giorni la “revoca” sembra solo una battaglia politica per cui si è disposti a sacrificare qualsiasi cosa e senza alcuna lungimiranza. Probabilmente è esattamente così ed è quello che fa paura molto più che una revoca che potrebbe anche essere opportuna. Se la battaglia politica non si cura della conseguenze economiche, dei modi o del contesto anche quando si toccano interessi vitali, come per l’Ilva, allora c’è da avere molta paura anche per tutto il resto. Quale sarà la prossima testa da far rotolare e a che prezzo? Diecimila licenziamenti a Taranto con una strategica acciaieria chiusa spacciando assurdi piani di riqualificazione? Si fa fatica a investire in Germania…