All’ospedale universitario di Reims, in Francia, ci avevano già provato almeno quattro volte a farlo morire per disidratazione e privazione della nutrizione. Ieri lo hanno fatto nuovamente, riprendendo – dopo una sentenza della Corte di Cassazione francese che ha annullato la sospensione giudiziaria del protocollo eutanasico che lo aveva salvato in extremis dall’ultimo tentativo, il 20 maggio scorso – il processo che, attraverso la sedazione profonda e la mancanza di fluidi, di elettroliti e di sostanze metabolicamente utili, lo condurrà alla morte. Salvo che non intervenga qualcuno a bloccare ancora l’esecuzione di questa condanna a morte medicalmente praticata.
Chi è quest’uomo così ripetutamente sfiorato dalla morte iatrogena che va sotto il dolce nome di eutanasia per sospensione dei supporti vitali? Un infermiere francese, Vincent Lambert, di quasi 43 anni (li compirebbe il 20 settembre), affetto da paralisi cerebrale (tetraplegia) con “sindrome della veglia non responsiva” (o “stato di coscienza minima plus”), esito di un incidente stradale che il 29 settembre 2008 gli ha provocato un trauma cranico e lo ha fatto entrare in uno stato comatoso, dal quale uscirà per passare in una condizione clinica designata come “pauci-relazionale”. In condizioni simili alle sue, nella sola Francia, vi sono oltre 1.500 pazienti che trovano assistenza in circa 150 centri specializzati.
Il signor Lambert non è in terapia intensiva o subintensiva e non è collegato a nessuna macchina per la ventilazione polmonare. Respira autonomamente e il suo cuore batte spontaneamente. Vincent non si trova in uno stadio terminale di malattia, e neppure manifesta dolore incoercibile: le sue condizioni cliniche sono stabilizzate ed è solo assistito per l’assunzione di acqua, sali minerali, vitamine e sostanze alimentari, di cui abbisogna per vivere come ognuno di noi. Sì, Vincent è uno di noi, anche se non è in grado di comunicare con noi ed è impossibilitato a muoversi da solo. Vincent è vivo secondo tutti i criteri di accertamento della morte: quello cardiocircolatorio-respiratorio e quello neurologico (cerebrale). Fisiopatologicamente, egli non è meno vivo di quanto lo sia io in questo momento e voi che mi state leggendo.
Ripercorriamo brevemente i momenti più drammatici della sua vicenda umana, che lo ha portato a essere oggetto di ripetuti tentativi di eutanasia. Il 10 aprile 2013, l’équipe medica del geriatra dottor Eric Kariger, responsabile dell’unità di cure palliative del Centre Hospitalier Universitaire (CHU) Hôpital Sébastopol di Reims – d’intesa solo con la moglie di Vincent, Rachel (nessuno dei genitori e dei sette fratelli e sorelle Lambert viene informato) – mette in atto la decisione di sopprimere il paziente sospendendo la nutrizione e riducendo l’idratazione a soli 200 millilitri giornalieri di fluidi.
Andando a trovarlo, uno dei fratelli di Vincent scopre che non viene più nutrito da 16 giorni. Informa immediatamente i suoi genitori che presentano un esposto al Procuratore della Repubblica per tentato omicidio. Un ufficiale giudiziario inviato dalla Procura intima ai medici del CHU di riprendere la nutrizione di Vincent. Il dottor Kariger resiste all’ordinanza, cercando di negoziare una soluzione favorevole alla sua decisione eutanasica, e continua a non nutrire Vincent fino al 9 maggio, quando egli sta per morire dopo 29 giorni di completa mancanza di nutrizione e di insufficiente idratazione. Solo l’11 maggio una sentenza del Tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne ottiene che venga ripresa una idratazione e nutrizione appropriata.
A seguito della prosecuzione della controversia giudiziaria presso lo stesso Tribunale amministrativo, l’11 gennaio 2014 il dottor Kariger comunica alla famiglia di Vincent la sua decisione di togliere nuovamente il sostegno vitale al malato, sospendendo completamente questa volta sia la nutrizione che l’idratazione e concedendo ai parenti due soli giorni per fare ricorso, trascorsi i quali egli darà avvio per la seconda volta al protocollo eutanasico. Il Tribunale di Châlons-en-Champagne riconosce che le cure sinora praticate a Vincent non costituiscono un “accanimento terapeutico” cui sarebbe consentito rinunciare, perché «i trattamenti non sono né inutili, né sproporzionati e non hanno affatto per obiettivo il solo mantenimento artificiale della vita» del tetraplegico.
Dopo che l’affaire Vincent Lambert (così ormai è chiamata in Francia la drammatica vicenda di quest’uomo, come se la sua vita e la sua morte potesse essere trattata come un “affare” tra gli altri) finisce dinnanzi al Consiglio di Stato e alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) – che respingono la richiesta dei suoi genitori che egli possa continuare a vivere – e sono state stabilite quattro “procedure collegiali” per decidere sulla sua sorte, il dottor Vincent Sanchez, nuovo responsabile della cure praticate a Vincent presso il CHU di Reims, contatta la famiglia a fine novembre 2017 e annuncia loro l’ultima “decisione collegiale” presa, quella di sospendere nuovamente l’idratazione e la nutrizione del paziente cerebroleso. Il 9 aprile dell’anno successivo il dottor Sanchez comunica ai parenti che intende iniziare il protocollo eutanasico.
Il ricorso a una nuova perizia medica da parte del Tribunale amministrativo giunge alla conclusione degli esperti che la risposta ai bisogni fisiologici fondamentali di Vincent (idratazione, nutrizione, igiene e altro) non costituisce un “accanimento terapeutico”. Tuttavia, sorprendentemente, lo stesso Tribunale di Chalons-en-Champagne, il 31 gennaio 2019, conferma l’autorizzazione alla sospensione di idratazione e nutrizione di Vincent, e tale sentenza viene confermata dal Consiglio di Stato francese il 24 aprile.
Il 3 maggio, il Comitato delle Nazioni Umane per i diritti delle persone con disabilità – cui si sono rivolti i genitori Lambert per tentare di bloccare la decisione delle autorità francesi, sostenuta dalla moglie di Vincent – chiede al Governo francese di non applicare la decisione del Consiglio di Stato in attesa di esaminare il caso e vagliare la relativa documentazione. Tuttavia, l’Eliseo decide di non ritenersi vincolato a questa richiesta del Comitato Onu (nonostante la Francia abbia ratificato la Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità) e di non fermare l’attuazione della sentenza del Consiglio di Stato. Il 10 maggio scorso, il dottor Sanchez scrive ai familiari di Vincent per informarli che la procedura eutanasica avrà inizio il giorno 20 del mese, e così avverrà, con la sedazione profonda del paziente in quella data. Ma un tempestivo intervento della Corte d’Appello di Parigi, alla sera di quello stesso giorno, costringerà i medici del CHU di Reims a sospendere il protocollo e idratare e nutrire di nuovo Vincent per almeno un periodo di sei mesi, il tempo concesso al Comitato delle Nazioni Unite per esaminare le carte e prendere una decisione.
E arriviamo a venerdì scorso, quando la Corte di Cassazione francese ha annullato la sentenza d’Appello del 20 maggio e autorizzato i medici che hanno in cura il paziente Lambert a procedere con il protocollo eutanasico interrotto quel giorno. Cosa che è avvenuta ieri, dopo la comunicazione formale ai parenti.
Dopo tutto questo, come non pensare che nei confronti di quest’uomo – “colpevole” solo di essere un grave disabile (motorio e neuropsicologico) che, nonostante tutto, continua a vivere mostrando una tempra fisica non comune – sia in atto un accanimento mortifero, un orribile desiderio che la sua vita finisca anzitempo per scopi e sentimenti che nulla hanno a che vedere con l’amore umano e con la professione medica?
In francese l’espressione “accanimento terapeutico” viene spesso tradotta con “obstination déraisonnable” (“ostinazione irragionevole”), e il termine è passato anche nella legislazione sanitaria d’Oltralpe per indicare il protrarsi delle cosiddette “terapie futili” (non efficaci contro la patologia presente e le sue complicanze) e/o che causano nel paziente disturbi e sofferenze sproporzionate al beneficio e/o sollievo che egli ne trae.
Correttamente, la designazione “ostinazione irragionevole” fa riferimento alla ratio del trattamento sanitario, ossia all’uso ragionevole della ragione nel determinare quale atto medico o infermieristico sia appropriato per ciascun paziente in ogni stadio della sua malattia, dall’esordio fino alla guarigione (restitutio ad integrum) o alla stabilizzazione, al riacutizzarsi o alla remissione, oppure all’exitus letalis. Senza un’autentica ratio clinica è impossibile una vera antropologia ed etica clinica: il bene del paziente (bene integrale della sua persona secondo tutte le dimensioni che la costituiscono: biologica, cognitiva, spirituale, relazionale, familiare e sociale) non coincide con la sola fisiologia – non sarebbe pienamente umano -, ma non può sussistere né essere perseguito in assenza o senza prendere in considerazione il suo stato di salute fisica e la cura che gli è dovuta, sempre.
È irragionevole accanirsi contro una persona malata, un disabile grave che ha bisogno di cure e non di abbandono, di sostegno per vivere e non di spinte per morire, di sguardi d’amore – come quello della coraggiosa madre di Vincent, che mostra in cosa consiste la maternità permanente di una donna verso suo figlio, anche quando e nella croce della malattia e dell’abbandono alla morte, e di tanti amici che gli sono vicini e pregano per lui in questo momento, in Francia e in altre parti del mondo – e non di meri formalismi clinici, etici e giuridici.
C’è da augurarsi, e da pregare, perché da un dramma umano, medico, giuridico e politico come questo, in cui la vita e la morte si sono sfidate a duello attorno a quest’uomo, possa rinascere una coscienza viva, acuta dell’umano – del “sempre umano” della vita – nelle nostre famiglie, nelle università dove la medicina viene insegnata e appresa, negli ospedali dove è praticata professionalmente, nelle aule dei tribunali dove si prendono decisioni giuridiche, in Francia, in Europa e nel mondo, dove la politica deve difendere e promuovere la vita di tutti e di ciascuno, in ogni circostanza. Senza cedere alla cultura della morte di cui l’eutanasia è una delle punte più acute e pervasive.