Rappresenta una svolta non da poco nella linea assunta dai Laburisti negli ultimi tempi la decisione del leader Jeremy Corbyn, che ha annunciato che il suo partito chiederà un secondo referendum su qualsiasi accordo sulla Brexit dovesse partorire il partito conservatore, compreso un No Deal. Ma c’è di più: qualora venisse approvato un secondo Parlamento, il Labour Party sosterrebbe l’opzione del Remain per la permanenza nell’Unione Europea. Viene così sconfessata la linea degli ultimi tempi, ovvero quella che voleva il rispetto del voto popolare del 2016, che aveva sancito l’uscita del Regno Unito dall’Ue. Che la questione sia parecchio controversa lo si evince da una piccola “postilla”: qualora vi fossero nuove elezioni generali e i laburisti trionfassero, Corbyn rispetterebbe il risultato del referendum con “un buon accordo” sulla Brexit, ovvero quello che il leader laburista propone da mesi, cioè un’uscita dall’Ue ma permanenza nell’unione doganale e in una sorta di mercato unico.
BREXIT, LABURISTI CHIEDONO SECONDO REFERENDUM
Che quella dei Laburisti sulla Brexit sia una svolta non da poco lo si evince dal fatto che al momento la linea prioritaria è quella di fare campagna per un secondo referendum sulla posizione della permanenza del Regno Unito in Ue. La svolta risulta ancor più clamorosa visto che Corbyn era stato pesantemente attaccato dal fronte europeista del suo partito proprio per la sua riluttanza ad intestarsi la battaglia per restare in Ue. La titubanza di Corbyn era stata spiegata col tentativo di preservare l’unità di un partito, dilaniato tra eurofili e euroscettici. Come si spiega la decisione di Corbyn di diventare paladino dei Remain? Il Labour ha perso troppi voti, emblematico il crollo alle ultime elezioni europee, e la tenuta del partito era sempre più a rischio, al punto che lo stesso John McDonnell, ministro delle finanze “ombra” e fedelissimo di Corbyn, si era dissociato da lui chiedendogli una linea più decisa sulla Brexit in chiave pro Ue. Decisivo, però, è stato il sostegno alla nuova linea europeista da parte dei sindacati collegati al Labour Party, incluso sorprendentemente quello dell’euroscettico Ben Cluskey.