Atlantia ha confermato giovedì sera che sta considerando di investire in Alitalia anche nell’interesse della società controllata Aeroporti di Roma. Atlantia è l’unico operatore privato ad avere un interesse diretto al salvataggio di Alitalia e ad avere in futuro una compagnia di bandiera sana in Italia. Le tariffe che pagano agli aeroporti gli arei che fanno rotte intercontinentali sono sicuramente più alte di quelle che fanno voli continentali e magari sono low cost; ne è prova il fatto che Ryanair si sia sviluppata scommettendo su scali secondari dove le tariffe sono inferiori. Su un biglietto da decine di euro il peso delle tariffe è di molto superiore a quello su un biglietto intercontinentale da diverse centinaia di euro.
Il dibattito sul salvataggio di Alitalia si ripropone con i soliti argomenti. Il conteggio dei soldi dei contribuenti sprecati nei salvataggi dell’ex compagnia di bandiera è un argomento valido per tutte le stagioni, ma non può rientrare nelle decisioni “di business” future. Qualsiasi costo l’Italia o i contribuenti abbiano subito è passato e pagato, nei libri di finanza passa per “sunk cost” (costo sommerso), e non deve influenzare le decisioni future. Non c’è niente che possiamo fare oggi per recuperare quello che abbiamo perso negli anni passati. Questo non significa, ovviamente, che ripetendo quanto fatto nel passato possano cambiare gli esiti futuri.
Se oggi qualcuno si prendesse la briga di contare il numero di destinazioni internazionali dall’Italia verso il Nordamerica, il mercato più ricco del traffico aereo globale senza il quale non si possono fare soldi, scoprirebbe che l’Italia è al fondo della classifica dei Paesi europei di simili dimensioni. Questo è un problema grave per la competitività del sistema Paese e soprattutto per il turismo. Fare uno scalo significa, tra andata e ritorno, perdere una giornata lavorativa. Significa che è molto meglio fare un meeting a Parigi o una vacanza nella valle della Loira perché si guadagna un giorno di ferie o si risparmia una giornata persa di lavoro.
Le compagnie “low cost” o “il mercato” non possono coprire questo buco; le compagnie low cost di successo si guardano molto bene dall’entrare nel mercato dei voli intercontinentali. Le compagnie europee come Lufthansa, Air France o British Airways non hanno nessun interesse a far partire tanti voli intercontinentali dall’Italia e senza scalo. Hanno invece ogni interesse a prendere i passeggeri italiani farli confluire nei loro hub e poi spedirli in tutto il mondo. In questo mondo ottengono molti risultati: fanno sistema con i loro aeroporti facendo massa, riempiono i loro aerei, mantengono la competitività dei loro sistemi Paese con tanti voli diretti e consegnano un vantaggio competitivo ai loro sistemi economici.
L’Italia non può risolvere questo gap competitivo con il “mercato” e ha bisogno di una compagnia di bandiera sana che faccia quello che in Europa fanno Lufthansa, Air France, British, Tap o Iberia. La questione a questo punto diventa una sola e cioè a quali condizioni possa prosperare Alitalia. Serve una guida imprenditoriale che se ne faccia carico e che abbia le tasche abbastanza profonde per spingere sul rilancio per diversi anni e serve una seconda cosa. Serve che la nuova Alitalia possa fare rotte sul Nordamerica, non ceda questo mercato a un partner o non sia irrimediabilmente mutilata non potendo competere nelle tratte più ricche e profittevoli. Se questo avviene, com’è stato per esempio in due decenni di un rapporto assurdo con Air France e Klm, neanche Enrico Mattei potrebbe avere successo con Alitalia.
Atlantia ha l’interesse economico e le tasche profonde per sostenere il rilancio di Alitalia; 300 milioni, più o meno, sono il reddito operativo che farà sulle autostrade italiane nel prossimo mese di agosto. Sul secondo punto ci rimettiamo a quanto riportato ieri dal Sole 24 Ore, secondo cui Atlantia avrebbe giudicato il piano industriale “troppo a favore di Delta e di Air France”; una valutazione che sarebbe condivisa anche da Efromovich. A testimonianza del fatto che gli spazi di manovra sono fondamentali per poter accarezzare il sogno di una compagnia che non perda soldi. Chi fa valutazioni meramente economiche, perché deve tirare fuori i suoi soldi, lo comprende immediatamente e sa benissimo cos’è successo negli ultimi 25 anni.
Questa infatti è stata una costante di Alitalia da tre decenni. Il problema non è fare alleanze, ci mancherebbe altro, ma con chi farle e a quali condizioni. Una questione che, tra l’altro, sarebbe utile da tenere presente per valutare le scelte fatte negli ultimi anni e per capire chi è stato fregato e chi ne ha beneficiato.
Se Alitalia si rilancia com’è stato fatto negli ultimi 25 anni allora sono tutti soldi persi. Se si vogliono fare le cose bene si sa, già oggi, cosa deve e cosa non deve succedere; è un problema “politico” di consentire queste condizioni e difendersi dagli attacchi e dai molti interessi. C’è un sacco di gente che preferisce prendere i milanesi, portarli a Parigi o Francoforte e poi a Washington, Los Angeles o Houston. Oppure prendere i californiani e farli prima scendere a Parigi. Una cosa è certa: il “mercato” o le “low cost” non potranno ancora per moltissimo tempo dare al sistema Paese italiano quello di cui ha bisogno.
P.S.: A proposito di soldi persi, aiuti pubblici, Unione europea e progetti strategici sarebbe utile fare il conto dei molti miliardi di euro, ci avviciniamo a 10, “sprecati” dalla Germania per il nuovo aeroporto di Berlino che doveva aprire nel 2011. Come quelli persi per Alitalia. Ma nessuno, giustamente, in Germania si sogna di rinunciare a una cosa che serve. Ovviamente non stiamo cercando di dimostrare che continuare a perdere soldi e fare le cose male sia una soluzione.