C’era da aspettarselo, prima o poi i nodi al pettine sarebbero arrivati anche per Deutsche Bank. Tramontata ogni ipotesi di fusione, il piano di “ristrutturazione” (lo chiamano così quando ci rimettono i lavoratori, quelli dal lavoro “flessibile”) prevede il taglio di circa diciannovemila risorse e la dismissione del settore di speculazione finanziaria, che in questi ultimi anni aveva combinato alcuni disastri. Il problema di questo tipo di operazioni è che servono solo a mantenere in piedi la baracca, non certo a rilanciare l’azienda. Servono a preservare i profitti degli azionisti, non certo a cercare nuovi mercati. E “tenere in piedi la baracca” è pure un esercizio senza speranza, se il resto dell’economia soffre, come sta accadendo in Germania.
Sì, la Germania soffre, nonostante gli enormi surplus di bilancio. E come mai soffre? Soffre perché i surplus dipendono tutti dalle esportazioni che vanno a mille. Ma se il contesto internazionale soffre, anche le esportazioni trovano dei limiti invalicabili. E se a compensare una minore brillantezza delle esportazioni non c’è un mercato interno vivace (o vivacizzabile), allora l’intera economia rischia un brutto colpo indietro. I dati più recenti confermano questa situazione. Mentre i paesi dell’est Europa hanno una crescita tra il 3% e il 4% (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Croazia, Slovenia, Lituania, Lettonia, Estonia…) e altri paesi sono tra l’1% e il 2%, fanalini di coda in Europa sono proprio la Germania (0,5%) e l’Italia (0,1%).
In Germania è molto forte la protesta dei ceti produttivi per la mancanza di investimenti sulle infrastrutture, ormai fatiscenti. Non si tratta più di applicare una dottrina economica (nota come austerità), ma di mettere in condizioni il Paese di funzionare normalmente. Decenni in investimenti sempre decrescenti in ossequio a un’ideologia hanno fatto i loro devastanti danni. Trasporti pubblici, strade, scuole, università, infrastrutture digitali tremende: problemi in tutti i settori. A giugno per ben tre giorni i grandi utilizzatori della rete elettrica (le grandi industrie) sono state tagliate fuori dalla stessa per il sovraccarico della rete, arrivata quasi al collasso. E tutto per perseguire quello che i politici chiamano lo “Schwarze Null”, il “nero zero”, cioè l’assenza di debito, quello che qui noi chiamiamo il “rosso” nel bilancio. Nessun debito, nessun deficit, nonostante lo Stato possa finanziarsi a tassi di fatto negativi (a causa della poca inflazione e di rendimenti vicino allo zero comunque inferiori all’inflazione). Un’ideologia ottusa che prevale sul buon senso.
Per capire quanto sia astrusa l’ideologia e tutta la situazione, basti pensare che le aste dei titoli tedeschi hanno difficoltà a essere coperte dal mercato proprio per lo scarso rendimento dei titoli in questione e perché le banche tedesche hanno necessità di rendimenti positivi reali. A questo si può aggiungere la politica dei dazi Usa che inizia a penalizzare l’esportazione tedesca, la crisi del settore auto, con i colossi Mercedes, Audi e Volkswagen in difficoltà, e la politica aggressiva della Cina, che certo non lesina in investimenti, e le problematiche derivanti dalla Brexit, che certo complicherà le esportazioni verso la Gran Bretagna.
E le prospettive sono davvero fosche perché le relazioni in Europa, con la crescita di tanti partiti sovranisti, rischiano di essere sempre più sotto stress per l’impossibilità di trovare politiche economiche comuni (impossibili senza politiche fiscali e finanziarie comuni). Politiche comuni che tanti paesi non accetteranno mai perché hanno i loro grossi vantaggi proprio da questi squilibri. Quando mai paesi come l’Olanda accetteranno politiche fiscali comuni, quando proprio grazie a queste differenze molti grossi gruppi industriali hanno trasferito in quel Paese le loro sedi? E quando mai paesi come la Germania accetteranno di condividere il debito degli altri?
Di fatto si avvicina l’implosione della zona Euro e l’asse franco-tedesco rischia di aver preso tutti i posti chiave nelle istituzioni europee proprio nel momento peggiore.