L’altro giorno ho partecipato a un interessantissimo convegno organizzato dall’associazione “Il rischio educativo”, dedicato all’insegnamento dell’educazione civica (che, come tutti sanno, da settembre prossimo sarà obbligatoria nelle scuole di ogni ordine e grado). In una delle relazioni, un’insegnante delle scuole medie ha raccontato come la lettura di una serie di opere letterarie può contribuire a formare nei ragazzi la consapevolezza di che cosa vuol dire vivere in una società, appartenere a una comunità, condividere valori, fatiche, scelte.
Fra i tanti esempi, alcuni riguardavano l’Iliade. Uno di questi ricordava come, anche nei momenti più cruenti della guerra, anche fra nemici irriducibili, ci fosse un fatto, un evento, di fronte al quale le ostilità cessavano, gli odi venivano per un momento messi da parte, gli avversari si ritrovavano in una comune umanità. Il fatto, l’oggetto che aveva questo potere sovrumano, il potere di placare per un istante gli odi, era il cadavere. Di fronte al cadavere, di fronte all’essere umano che aveva cessato di essere tale, gli altri esseri umani dimenticavano per un momento le rispettive rabbie, le rispettive ragioni, e ricordavano la propria comune mortalità. I riti funebri, gli onori resi a esseri umani che tali più non erano, sono stati l’inizio di un sentimento di umanità che ci ha distinto dal resto degli animali.
Non posso non tornare con la mente a queste cose, mentre leggo la notizia di Brandon Andrew Clark, il giovane americano che ha ucciso la fidanzata diciassettenne e poi, prima che la polizia lo arrestasse, ha postato la foto del cadavere della ragazza sui social. Certo, su questo dramma si possono fare un sacco di osservazioni. Si può lamentare l’ultimo, ennesimo gesto di violenza di un uomo su una donna. Ci si possono stracciare le vesti per l’invadenza dei social. Tutto giusto. Ma quel che colpisce di più me è l’atto di profanazione del cadavere. Perché va alle radici dell’umano, perché viola il tabù forse più antico dell’umanità.
Immagino che il povero Brandon – sì, povero anche lui, chissà da che storia di povertà umana viene anche lui – l’Iliade non sappia neanche che cosa sia. È ovvio, la cultura occidentale, maschilista, etnocentrica, prevaricante, è stata bandita dalle scuole Usa (per quanto sopravviverà nelle nostre?), chissà il povero Brandon fra quali esempi di umanità è cresciuto.
Non sono ingenuo, so benissimo che la cultura non basta, so bene che gli ufficiali della Wehrmacht erano spesso raffinati intellettuali che avevano nello zaino la Repubblica di Platone. So che, come scrive Benedetto XVI nella Spe salvi, “la libertà dell’uomo è sempre nuova e deve sempre nuovamente prendere le sue decisioni”, so che “le nuove generazioni – prosegue – possono costruire sulle conoscenze e sulle esperienze di coloro che le hanno precedute, possono attingere al tesoro morale dell’intera umanità. Ma possono anche rifiutarlo”.
Lo so. So anche che ci sono modi orrendi di insegnare, che ha come esito l’odio dei nostri ragazzi per tutto quel che proponiamo. Però, c’è alternativa? C’è un altro modo di affrontare l’opera immane di far fronte all'”invasione verticale di barbari” (l’espressione è di Ortega y Gasset, La ribellione delle masse) che ogni giovane generazione rappresenta, se non tentare di consegnare loro il patrimonio faticosamente accumulato dai nostri padri? Qualcuno ha mai spiegato a Brandon che il rispetto dei cadaveri è la scintilla iniziale della civiltà? Che da lì, chissà, la fiamma può anche estendersi al rispetto dei vivi, uomini o donne che siano?