Alzi la mano (o sarebbe il caso di dire l’età) chi negli ultimi giorni non ha sentito di Faceapp, l’applicazione per modificare i tratti del viso, che spopola per via del filtro che invecchia e trasforma i volti in modo sorprendentemente naturale. L’applicazione, intelligente e potente, ha dato il via alla gara per mostrare il proprio volto invecchiato sui principali social network. Circa 80 milioni di persone hanno già scaricato il programmino, in realtà già in commercio dal gennaio 2017.
Spopola perché è buffo, è inquietante, e nessuno vuole rimanere indietro. Il portinaio è 40 anni più avanti di me? Sia mai. Lì per lì, davanti a un output che ti strania, ti viene comunque da cercare la faccia ludica e positiva: se a mezzogiorno mandi al marito/compagno/fidanzato il tuo selfie over 70, quando poi ti rivedrà stasera a casa (un filo spettinata, struccata e prima della doccia) gli sembrerai una freschissima rosa. Come quando mio figlio prende quattro nel tema. Al primo sei che arriva, vedo in lui un piccolo Montale.
Il secondo pensiero l’ho fatto nel momento in cui i miei figli mi hanno inviato le loro foto “aggiornate”. A vederli più stagionati di pecorini ho pensato solo: quanto sono brutti. E quando lo dici rispetto ai tuoi figli, ai tuoi scarrafoni, significa che devono esserlo veramente tanto. Insomma: dov’è finito il bello? È luglio. Il mese delle curve in spiaggia, dei costumi strizzati, delle cosce fotoshoppate. Roba che – con buona pace di tutti e nel limite del pudore – risponde a un canone estetico di ben maggior respiro. Se l’antivanità si fa strada così in fretta, non è che forse siamo saturi di bellezza? Fin dove in basso siamo disposti ad arrivare, pur di sperimentare e ostentare qualcosa di diverso? E qui – davanti alla parola diverso – quando ho aperto l’app mi si è spalancato anche un altro tema. Insieme alla funzione di stagionatura, ce ne sono molte altre; con un clic posso farmi bionda, sorridente, occhialuta e… maschia. Cioè: Faceapp mi fa vedere come sarei se cambiassi sesso. Così come se cambiassi smorfia, o taglio di capelli. Tanto per provare.
C’è da dire che le immagini che restituisce sono parecchio nitide, curate, dannatamente pixelate di realismo. Mi sono informata. Per ottenere questo effetto c’è bisogno di reti che devono girare su computer potenti. La potenza di calcolo di uno smartphone non basta. La prova del nove è che se sei in modalità aereo la app non funziona e ti segnala di collegarti a internet. Dimostra che la tua immagine va sul loro server, la russa Wireless Lab OOO, con sede a San Pietroburgo. E su questi server le foto restano archiviate per un tempo indefinito, potenzialmente per sempre, perché la società non si cura di dichiarare per quanto tempo le conserverà. A voler indagare, si scopre anche che Faceapp ha un buco enorme legato alla privacy e non rispetta il Gdpr.
Insomma, quest’estate la privacy ce la siamo giocata alle bocce. Ma pare che alla gente non importi. Roba che il ritratto di Dorian Gray non ha prezzo. Roba da far venire davvero i capelli bianchi.