Gli operatori di Casa Sebastiano, una struttura all’avanguardia in tema di autismo in Trentino, ricevono in affido un bimbo di 11 anni affetto da autismo. La sua famiglia naturale non lo vuole più e assistenti sociali di un’altra regione – ovviamente tutta la vicenda tace i nomi dei protagonisti per questione di privacy – chiede loro aiuto. Casa Sebastiano dice che “è una vicenda da togliere il fiato” e decide di rendere pubblico il fatto per chiedere aiuto. “Dobbiamo trovare una sistemazione per un bimbo di 11 anni con diagnosi di autismo. La famiglia non lo vuole più”.
La lettura che tutti danno è quella del pensiero emotivo: o sono disgraziati o sono disperati. E in ogni caso le istituzioni hanno fallito. Anzi, non solo le istituzioni. C’è tutta una filiera di enti e di persone che hanno sbagliato, che non sono riusciti a stare accanto a una famiglia con un figlio autistico e che per questo non ce la faceva più. Non ha funzionato il supporto alla famiglia; ha fallito la società, le assistenze sociali, gli psicologi, ha fallito il patto di aiuto. Ha fallito il mandato etico. Hanno fallito tutti.
Però, in questo fallimento generale, vedo una luce. Questa famiglia ha “restituito il figlio”. Ha detto: “noi non ce la facciamo”. Io non sapevo neppure si potesse fare. Invece qui c’è qualcuno che accetta l’affido di una famiglia che dice: “io non ce la faccio”. È una sconfitta? Sì, certo. Sarebbe meglio che la famiglia ce la facesse e che ce la facesse perché la società l’aiuta. Però, ripeto, vedo una piccola luce in fondo al tunnel. Perché vedo una famiglia che ha saputo leggere il proprio disagio. Non succede sempre così.
Nel marzo 2016 a Verona, un papà, dopo un incidente alla moglie era rimasto solo ad accudire il figlio autistico, lo aveva accoltellato e dopo aveva cercato di suicidarsi. Nel novembre dello stesso anno un caso ancora più grave. Questa volta siamo a Novara e un padre cinquantenne uccide il figlio autistico e poi cerca di suicidarsi. Sono i primi due casi che galleggiano dopo una rapida ricerca su Google. Sono sicuro che a ciascuno di noi ne verranno in mente altri. Quindi, è vero: qualcosa, o tanto, nel meccanismo di aiuto non ha funzionato e quindi interroghiamoci su cosa non è andato bene. Però qualcosa di positivo c’è. Perché riconoscere di non farcela più e chiedere che qualcuno ci venga in soccorso è una cosa bella. Umana. È meglio che uccidere. È meglio che obbligarsi a un compito impossibile.
E magari questa famiglia apre un nuovo ventaglio di possibilità. Per esempio, ma è il mio pensiero, cioè quello di un non esperto, si potrebbe pensare a delle forme di affido parziali: la maggior parte dell’anno lo tiene l’istituto, e il fine settimana la famiglia. Qualcosa del genere. Pensiamoci. Ma, in ogni caso, riconoscere di non farcela e chiedere aiuto è sempre una cosa grande. È sempre un pensare veramente umano che apre a prospettive sorprendenti.