Oggi l’Istat diffonderà la stima preliminare sul Pil del secondo trimestre dell’anno. Le speranze sono quelle di un dato non negativo, anche se il Centro Studi di Confindustria lunedì ha fatto sapere che la produzione industriale è diminuita nel secondo trimestre, rispetto al primo, e che la dinamica debole dell’industria proseguirà anche nei mesi estivi. Per il Csc, il Pil “per l’intero 2019 difficilmente potrà andare oltre una crescita dello 0,1% sul 2018”. “Io metto sempre in guardia i giornalisti dalla sindrome dello 0,1%, perché il nostro margine di errore è più alto”, è il commento a questo stima di Mario Deaglio, professore di economia internazionale all’Università di Torino.
Può spiegare meglio professore?
Quando si parla di crescita dello 0,1%, in realtà si intende qualcosa che sta tra il -0,2% e il +0,4%. Come andrà veramente a finire lo sapremo però tra 7-8 mesi, se va bene. Misurare il Pil è infatti complesso, soprattutto perché la gran parte di questa grandezza, ormai i tre quarti, è composta non da prodotti, ma da servizi. Occorrono quindi calcoli e controlli che richiedono tempo. Detto questo, il quadro è quello di un’economia italiana che è statica, cioè non va né avanti, né indietro. Il che, in un mondo che si muove, equivale a perdere terreno, perché gli altri tendono comunque ad andare avanti. Il vero problema non è quindi cosa sta succedendo adesso, ma che cosa succederà nel giro di pochi anni se continuiamo ad avere questa tendenza.
C’è il rischio, dopo aver visto diminuire di un quarto la produzione industriale con la crisi, di altre perdite su questo fronte?
La nostra industria sta avendo una trasformazione di struttura molto forte, che non si può dire a priori se sarà positiva o negativa. Certo, negli ultimi 20 anni abbiamo abbandonato la grande elettronica, la grande chimica e buona parte della farmaceutica, Fiat è sempre meno italiana, ma abbiamo anche dei settori che vanno bene, come quello degli apparecchi medicali o quello agroalimentare, dove non mancano tentativi di avere prodotti nuovi. Ci sono anche molti piccoli comparti dell’elettronica dove siamo bravi. Resta però un problema: tutto questo basta a tenere a galla il Paese, ma non a farlo ripartire.
Nei giorni scorsi ci sono stati dati allarmanti sull’economia tedesca. Crede che dobbiamo preoccuparci?
Se l’industria della Germania va male vengono penalizzati i suoi fornitori italiani. D’altro canto è anche vero che ci sono alcune aree in cui siamo in competizione e una difficoltà tedesca può rappresentare per noi un’opportunità. Tuttavia questa sorta di seconda faccia della medaglia è più piccola della prima. Quindi noi dobbiamo veramente augurarci che la Germania ce la faccia a sollevarsi. Uno dei motivi di preoccupazione infatti non riguarda noi in prima battuta, ma la Germania. Basti pensare che se questa si sviluppasse a un ritmo del 3-4%, automaticamente avremmo un effetto benefico dello 0,6-0,7%.
Oltre alla Germania, vengono indicate altre fonti di rischio per l’economia: la guerra dei dazi, la Brexit, il rallentamento della Cina, le politiche della Banche centrali… Lei quale ritiene sia il rischio maggiore?
Sono tanti ed è difficile dire quale può essere il principale. Se Trump vorrà veramente dare un altro giro di vite alla libertà degli scambi, stavolta a pagare pegno sarà l’Europa, che finora ha sofferto poco, visto che i dazi verso l’Ue più pesanti sono rimasti in sospeso. La Brexit dovrebbe avvenire entro la fine di ottobre e può avere effetti negativi sulla Germania e quindi indirettamente riguardare il nostro export verso Berlino. Poi c’è il rallentamento dell’economia cinese che potrebbe avere effetti sull’export. Bisogna quindi prima di tutto sperare che queste criticità non si concretizzino tutte insieme. In secondo luogo, che qualora si verificassero, siano di piccola entità. Certamente, dopo settembre-ottobre c’è grande punto interrogativo all’orizzonte. Non possiamo però dimenticare anche un paio di cose positive per la nostra economia.
A che cosa si riferisce?
Nessuno se n’è accorto, ma l’ultimo “regalo” di Juncker è stato la chiusura dell’accordo tra Ue e Mercosur, che elimina parecchi dazi alle esportazioni verso i paesi dell’America Latina. Questo non basta a compensare i dazi americani, ma li allieva. Inoltre, il Mercato comune africano, che era stato abbozzato un anno fa, sta entrando nella fase operativa con l’ingresso della Nigeria. Ci saranno quindi dazi uguali per tutti i paesi e questo dovrebbe favorirci abbastanza, visto che c’erano dei paesi, come la Francia, che avevano dei vantaggi dati da tariffe doganali più basse.
Un’ultima domanda professore. Il Governo, anche attraverso incontri con le Parti sociali, sta ponendo le basi per la Legge di bilancio. Ha qualche suggerimento per l’esecutivo?
Sarò molto sintetico: il mio consiglio è di parlare di meno e di fare di più.
(Lorenzo Torrisi)