Mosca e Washington serviranno su un piatto all’Europa la testa di Salvini e Di Maio. A pronosticarlo è Rino Formica, politico socialista della prima repubblica e osservatore smaliziato delle due incerte “repubbliche” successive. Secondo Formica neppure il voto potrebbe sanare la crisi. E nulla potrà la terza forza in campo, il fallimentare partito dei “badogliani”. “Ogni contratto ha valore a due condizioni” osserva Formica. “La prima è considerare l’oggetto del contratto e dunque la situazione da gestire come statica e immobile. In politica è un grave errore, perché le cose si evolvono continuamente”.
E la seconda?
La seconda è che ad ogni inadempienza contrattuale corrisponde una sanzione. Nel contratto Lega-M5s la clausola sanzionatoria è occulta.
Occulta? E perché?
Perché è scaricata su un terzo che non ha colpe: il popolo italiano.
Facciamo un passo indietro e torniamo alla situazione politica.
Prescindere dalla situazione in continuo movimento fa sì che il dibattito avvenga sulle clausole contrattuali prefissate. Ma queste sono continuamente superate, modificate, cancellate dal processo politico in atto. Di per sé già questo sancisce il fallimento del governo giallo-verde.
E poi?
Poi c’è la crisi della clausola sanzionatoria delle inadempienze che stanno emergendo da una parte e dall’altra, dalla flat tax alla Tav. Il conto lo paga il paese.
Ma se le cose stanno così, ha ragione chi vuole il voto?
Andare al voto avrebbe poco senso perché non sarebbe risolutivo. Qui c’è una responsabilità delle forze di opposizione e dei mezzi di informazione, che non fanno emergere la crisi del contratto e la clausola occulta.
Ci lasci indovinare: l’Italia è un paese incattivito e in preda al fascismo.
Chi governa il paese lo ha potato all’esasperazione, additando come cause fattori esogeni: l’immigrazione, l’incertezza sul lavoro, l’Europa, la corruzione, la mancata crescita. Il voto non risolverebbe i problemi perché gli italiani sarebbero chiamati alle urne su argomenti che provocano lacerazioni: le stesse che vediamo nel nostro tessuto sociale.
Ammettiamo che Salvini dichiari conclusa l’esperienza di governo e chieda di andare a votare. Il capo dello Stato troverebbe subito un’altra maggioranza disposta a sostenere un governo di transizione.
Non è questo il punto. Nel governo ci sono tre forze. M5s e Lega sono entrambi lacerati al proprio interno tra governisti e movimentisti. Due componenti interne, trasversali, che tendono alla divaricazione.
E la terza?
È data dal gruppo dei ministri badogliani: Conte, Tria e Moavero. Hanno capito che la guerra è persa e non sanno più come evitare che l’edificio crolli loro addosso.
Eppure hanno trovato l’accordo con l’Ue nella scorsa legge di bilancio, hanno evitato la procedura di infrazione e aspirano a gestire la prossima manovra.
Ma sono risultati che non hanno avuto effetti sul programma di governo. M5s e Lega, invece di fare un bilancio serio, trasparente, del primo anno di governo hanno enfatizzato il proprio contributo, dal contrasto all’immigrazione al reddito di cittadinanza.
E adesso?
Si va verso una crisi profonda, segnata dalla rivolta dentro i 5 Stelle, che probabilmente avverrà anche all’interno della Lega, mentre i badogliani dovranno fare i conti con la propria inefficacia.
In concreto, quale scenario vede?
Sono dell’opinione che la crisi delle due formazioni passerà per la liquidazione dei due leader, Di Maio e Salvini.
E chi sarà a farli fuori?
M5s e Lega hanno perso la battaglia con l’Unione Europea. Avevano scommesso, sulla base di due alleanze, con Putin, con Trump o con entrambi, che sarebbero stati capaci di minare la stabilità dell’Europa. Ma l’instabilità dell’Europa non c’è, perché il voto europeo ha visto la vittoria delle forze europeiste. E gli europeisti regoleranno presto i conti con le forze ostili. In quel momento il realismo degli Stati Uniti e della Russia sarà favorevole all’iniziativa europea, e per dimostrarlo Washington e Mosca offriranno all’Europa le teste dei rispettivi “servitori” nei singoli paesi.
È sicuro dell’obbedienza di M5s a Washington?
M5s è un insieme di tante forze contraddittorie, ma la sua parte maggioritaria guardava e guarda al populismo americano.
Come fa a dirlo?
Sulla Tav, Lewis Eisenberg ha chiamato Di Maio. Non si sono scambiati un cioccolatino… Questa storia si deve chiudere, toglietevi dalle scatole, gli ha fatto capire l’ambasciatore. M5s non potrà più far finta che il contratto è in piedi e ne è solo rinviata l’attuazione. No: il contratto non c’è più.
Secondo lei si avvicina anche la fine di Salvini. Eppure, ha il consenso di quasi il 40% degli italiani.
Per ora. Nenni diceva che alla fine ogni fiume risponde alla sua sorgente. La sorgente della Lega è il Nord, la vera Lega, elettoralmente parlando, è quella lombardo-veneta. Salvini ha ottenuto il consenso del resto del paese solo in chiave reazionaria. Non durerà.
Lei prima ha detto che il fallimento del contratto si scaricherà sul paese. Si riferiva alla prossima legge di bilancio?
Sì. A dicembre gli italiani si accorgeranno che l’inadempienza contrattuale è stata scaricata su di loro.
(Federico Ferraù)
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