Una storia dalla lontanissima India ci racconta tanto di come possa essere vissuto (in maniera devastante) il complicato mondo degli affari e la “solitudine” di qualche miliardario, pur genio del mercato come lo era V. G. Siddharta, fondatore e Ceo della Cafe Coffee Day considerato il vero “re del caffè indiano”. Nelle scorse ore una folla immensa si è recata a dare il saluto all’imprenditore che si è suicidato negli scorsi giorni dopo aver spedito una lettera ai suoi azionisti dove spiegava il senso del suo gesto e il peso della sua vita divenuta ormai al limite della sopportazione. Per ore sommozzatori e pescatori lo avevano cercato in ogni parte del fiume sacro Netravati all’interno dello Stato indiano di Bangalore, poi il ritrovamento: il corpo del re del caffé indiano è stato trovato da un pescatore che lo ha avvistato trascinato dalla corrente. Non lo si trovava più da lunedì sera quando il suo autista fu l’ultimo a vederlo vivo: Siddhartha gli aveva chiesto di portarlo lungo il fiume quando ad un certo punto gli ha imposto di accostare chiedendogli di attenderlo dopo una breve passeggiata che voleva fare proprio a fianco del “fiume sacro”. Non è mai più ritornato. Come ricorda oggi il Corriere della Sera, il milionario fondatore della Cafe Coffee Day era solito “meditare su se stesso” passeggiando lungo le piantagioni di caffè ma questa volta era diverso e l’autista se n’era forse reso conto: un pescatore poche ore dopo aveva riferito ai media locali di aver visto un uomo buttarsi da un ponte sul Netravati. A chiudere il cerchio del “suicidio” è poi divenuta pubblica la lettera scritta da Siddhartha ai tutti gli azionisti del gruppo.
LA LETTERA, IL SUICIDIO E LE TASSE
Il 57enne nella missiva scriveva e annunciava di tutte le difficoltà finanziarie cui andavano incontro, ma non solo: voleva denunciare «lo stress causato dall’insistenza del fisco, che dal 2017 ha torchiato le sedi della società con una serie di controlli. Un atteggiamento definito “persecutorio”» spiega ancora il Corriere della Sera nel dare notizia della morte di Siddhartha. 30 anni di impero che rischiava di disgregarsi per le troppe “pressioni fiscali” cui Siddhartha e tutto il suo gruppo erano sottoposti in India: «sono un imprenditore fallito che abbandona il campo dopo una dura battaglia», scriveva così nella lettera dopo che per anni tra politica, mercato e borsa aveva lottato e spadroneggiato nel mondo del caffè anche all’estero prima che l’arrivo di Starbucks segnò un durissimo colpo al suo “impero”. Nelle ultime righe sempre Siddhartha indica una possibile via d’uscita per evitare la bancarotta: vendere gli asset della società, ma fa ben intendere come lui non sarà più al comando. Poche ore dopo il suicidio, con il Paese che ora vive momenti di tensioni per i continui attacchi delle opposizioni al BIP (partito nazionalista indù al potere con il premier Modi, ndr), gruppo al Governo accusato di non rendere facili gli affari dei grandi gruppi industriali come per le piccole aziende presenti sul vastissimo territorio. Come sintetizza un deputato del Congresso anti-Modi, Shashi Tharoor, «Lo slogan del Bjp era “rendere facile fare affari” ma nella realtà sotto questo governo si traduce in “rendere facile cessare di fare affari».