I capolavori dell’antipolitica militante

L’opposizione attacca su temi sempre più insignificanti, mentre il governo continua a dimostrarsi incapace di decidere. Ma dopo l’immobilismo tutto può accadere

Un formidabile media televisivo ha aperto la sua noiosissima sequenza quotidiana, martedì sera, con la notizia, purtroppo non esclusiva, che il figlio di Matteo Salvini ha fatto un giro in motoretta sull’acqua di Milano Marittima con un mezzo della polizia. Che scoop! E che vergogna per la “famiglia allargata” del ministro degli Interni! Questa “grande notizia” dovrebbe rappresentare un motivo di “lotta” dell’Italia del rinnovamento all’immobilismo ormai cronico di questo Paese e alla palese strafottenza dell’attuale ministro dell’Interno.

A volte sembra che la cosiddetta opposizione, politica e mediatica, faccia una nobile gara per portare sempre più voti al “bullo” del Viminale e cementi indirettamente, con tutti i mezzi possibili, una delle più sgangherate maggioranze della storia italiana, forse di tutti i tempi. Persino il rigido guardasigilli pentastellato Alfonso Bonafede, giurista di chiara fama, non certo in sintonia con Salvini, è rimasto piuttosto perplesso, in trasmissione, di fronte allo scoop propagandato.

In fondo, siamo solo ai sintomi para-comici della decadenza (culturale in senso generale) di questa repubblica (di quale numero nessuno sa dirlo) che riuscirà probabilmente a passare l’estate e poi ad affrontare l’autunno, prima di consegnare il suo destino non semplice ai veri “rottamatori della storia”, con purtroppo conseguenti sorti amare per il Paese.

Nessuno poteva immaginare che, nella decadenza dettata dall’antipolitica militante, a trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, in Italia si riuscisse a trovare uno schema talmente perfetto di immobilismo intoccabile, inamovibile, che inoltre si riproduce giorno dopo giorno, o addirittura, in alcuni casi, ora dopo ora. Il governo gialloverde contempla tutto al suo interno. Si è passati dalla vecchia tiritera togliattiana del “partito di lotta e di governo” (che già faceva ridere), alla scoperta di un agglomerato multiforme che riesce a unire in sé maggioranza e opposizione a giorni alterni: lotta e governo uniti insieme da un “contratto” siglato probabilmente da un “commercialista” specializzato in accordi impossibili che riesce a far quadrare tutti i conti immaginifici.

Ci si divide sulla Tav? Niente paura, poco dopo arriva il rattoppo di una mozione della “minoranza governativa” e di un sì condizionato del presidente del Consiglio, esposto con prudenza per salvare capra e cavoli. Ci si divide sulle autonomie? Niente paura, parlano i Governatori del Nord al posto dei ministri leghisti. Ci si divide su una riforma della giustizia che è attesa da almeno cinquanta anni? Niente paura, si è già deciso di discuterne e poi di decidere a dicembre. Ci si divide al Parlamento europeo sul voto alla von der Leyen? Nessuna preoccupazione, a Strasburgo esiste il “gioco dei quattro cantoni”, dove ci si può collocare da sovranisti tra gli europeisti e da europeisti accanto ai sovranisti. Poi c’è il Russiagate, che ogni tanto ritorna sullo sfondo, il caso Siri, la politica urbana di Virginia Raggi e quella della decadenza torinese di Chiara Appendino, quindi la posizione del presidente della Camera, l’inossidabile Roberto Fico, il battistrada del movimentista Alessandro Di Battista.

Lo schema della “confusione programmata”, finalizzata all’immobilismo cronico, sinora ha funzionato, ma alla fine pagherà inevitabilmente tutto quello che deve pagare e forse anche più del necessario.

Questo schema assurdo è stato anche agevolato dalla reale inesistenza di una vera opposizione, che è ormai da un lato rappresentata da un’accolita minoritaria di petulanti e perennemente litiganti di sedicente sinistra finanziaria, oppure da una destra “irreale”, che in Italia nel dopoguerra è sempre stata comica, neppure para-comica. In più, tutti sembrano dimenticarsi la disaffezione alla partecipazione democratica, con una percentuale di astenuti potenziali che è arrivata ormai al 40 per cento e che rappresenta di fatto il primo partito assoluto. Infine, balza agli occhi anche agli sprovveduti la quasi inconsistenza di ogni dibattito parlamentare e quindi la funzione del Parlamento stesso.

Gli storici di un tempo avrebbero sintetizzato brutalmente: gli italiani sono talmente incazzati con i “partiti del cambiamento” del dopo 1992, che hanno bisogno del tempo necessario per disintossicarsi dalla rabbia accumulata, quella che era già stata classificata “rancore” nell’ultimo rapporto del Censis.

Ma lo schema perfetto dell’immobilismo cronico è destinato inevitabilmente a finire. Malgrado la boccata d’ossigeno arrivata con la motoretta sull’acqua di Milano Marittima, piombano il mattino dopo, spietati, i dati della crisi economica, che vede l’Italia in grande difficoltà, circondata da altrettanto grandi difficoltà europee. Il Pil è piatto, l’inflazione è da medioevo (+ 0,5%) e ci si consola con i dati sull’occupazione in decrescita facendo passare per occupati anche chi lavora due ore alla settimana.

Quando si tireranno le somme di una simile decrescita, di un simile e progressivo impoverimento del Paese, sarà difficile immaginare uno scenario politico e sociale. Ma purtroppo, storicamente (e speriamo di sbagliarci), l’immobilismo cronico precede sempre un movimentismo che diventa in genere pericoloso e anche poco controllabile. Il rischio di essere a una svolta non semplice appare sempre più evidente.

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