In una intervista apparsa sul settimanale “Oggi” parla Stefania, la sorella di Lidia Macchi ad una settimana dalla sentenza clamorosa in Corte d’Appello che ha ribaltato l’ergastolo a Stefano Binda nel Primo Grado arrivando a ritenerlo innocente perché “il fatto non sussiste”. L’amico della giovane ragazza violentata e morta nel mistero in quel boschetto di Cittiglio (Varese) più di trent’anni fa è ora libero e scarcerato dopo due anni di galera e dopo essersi sempre dichiarato innocente: la sorella di Lidia assieme a tutti i familiari sono confusi, delusi dalla giustizia e soprattutto si ritrovano, dopo 32 anni ancora senza un colpevole dell’orrenda morte della loro amata Lidia. «Io e mia madre siamo stanche e abbastanza confuse, È una sentenza particolare» ammette Stefania ai colleghi di “Oggi”. «Binda innocente? Non so rispondere: so solo che abbiamo avuto 4 anni di indagini che hanno messo in luce nuovi indizi. E un anno di processo di primo grado con l’ascolto di più di 100 testimoni»; per Stefania Macchi, il problema è la disparità di approfondimenti e lunghezza tra primo e secondo processo, «è vero che non c’era una prova regina ed è rimasto indiziario, ma tutto quel lavoro aveva portato una Corte a pronunciarsi per l’ergastolo una Corte a pronunciarsi per l’ergastolo, la pena più grave».
LA SORELLA DI LIDIA MACCHI: “SIAMO DELUSI”
Per la sorella di Lidia Macchi, Stefano Binda è stato assolo dopo solo tre udienze «senza fare un minimo di approfondimento rispetto a quelle prove indiziarie che potevano essere ancora vagliate, verificate e approfondite, ha deciso per l’innocenza totale. Ecco devo dire che questo ci lascia un po’ così…», ammette Stefania Macchi sempre nella lunga intervista di “Oggi”. La famiglia ha un giudizio chiaro: il problema non è l’esito del processo ma il suo “scarso” lavoro di approfondimento a fronte invece di un lunghissimo lavoro ottenuto in Primo Grado. «Se l’assoluzione di Binda fosse avvenuta dopo ulteriori approfondimento saremmo stati più sereni. Invece ci rimangono tutti i dubbi, non è chiarito nulla»; Stefania si dice molto delusa, come tutta la famiglia Macchi, per quanto avvenuto «e faccio fatica a dire che cosa penso della giustizia. Certo non è in mano nostra, ma di chi è più esperto di noi, però se i passi degli esperti sono questi, la nostra esigenza di giustizia va ben oltre le risposte che ci possono dare gli uomini». Ci sarà ricorso in Cassazione, non appena usciranno le motivazioni della sentenza di assoluzione per Binda. Intanto per Stefania Macchi il possibile autore della lettera “In morte di un’amica” che potrebbe aver fatto ribaltare la sentenza in Appello non si farà avanti «se non si era fatto avanti prima quando Binda era in carcere, ora avrà anche meno motivi per confessare chi è. In ogni caso, la lettera resta importante» sottolinea ancora la sorella di Lidia, «è una lettera stramba, una lettera così mi sono detta 32 anni fa, chi l’ha scritta non è proprio un amico…». Delusione e tristezza e un appello finale: «io, mio fratello e mia madre non cogliamo avere a tutti i costi un colpevole. Nel dubbio, meglio dichiarare Binda innocente. Ma una sua frase non mi è piaciuta: ha detto che noi “pretendiamo la verità”. Non è così, non la pretendiamo, è 32 anni che la stiamo aspettando».