Dopo 8 ore il Ruanda ha deciso di riaprire la frontiera col Congo: la nazione attraversata dal temibile contagio dell’Ebola aveva contestato la decisione ruandese di chiudere i confini dopo il primo caso mortale del virus a Goma, la città appena al di qua della frontiera congolese. La diplomazia dei due Paesi e le pressioni dell’Onu hanno invece riportato la situazione alla “normalità”, confermando però un urgente intervento di prevenzione sul territorio per provare a limitare l’epidemia. Come riportava questa mattina Rivista Africa, il problema vero è lo spargersi di un virus che al momento sembra ancora incontrollato in 12 mesi di continui casi con la popolazione del nord Congo letteralmente devastata: «2700 casi confermati di cui oltre 700 bambini, e 1803 vittime nelle province di Ituri e del Nord Kivu» ha spiegato l’Oms ieri in un lungo comunicato congiunto con l’ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (Ocha), l’Unicef e il Programma Alimentare Mondiale (PAM). Proprio oggi, primo giorno d’agosto, ricorre un anno esatto da quando il Governo della Repubblica Democratica del Congo ha dichiarato ufficialmente lo scoppio dell’epidemia di Ebola in tutta la nazione. L’Onu ha poi trasmesse le direttive ufficiali per spiegare nel dettaglio come si diffonde il contagio dell’Ebola: «si trasmette da madre a figlio, da marito a moglie, da paziente a curatore, dal cadavere di una vittima al parente in lutto. La malattia capovolge gli aspetti più banali della vita quotidiana, colpendo le imprese locali, impedendo ai bambini di andare a la scuola e ostacolando i servizi sanitari di base e vitali: è principalmente una crisi sanitaria, ma ha anche un impatto critico sul modo in cui le persone si prendono cura della loro famiglia, vedono i loro vicini e interagiscono con la loro comunità – conclude la nota – Le sfide per fermare ulteriori trasmissioni sono davvero notevoli, ma nessuna è insormontabile. E nessuna può essere una scusa per non portare a termine il lavoro».
EBOLA IN CONGO, TERZO CONTAGIO CONFERMATO
L’epidemia di Ebola in Repubblica Democratica del Congo è cosa seria e purtroppo non solo da oggi: è ormai un anno che la popolosa nazione dell’Africa soffre dello spargimento del virus mortale specie sui più giovani ma finora gli interventi delle autorità locali e della comunità internazionale sono stati tutt’altro che sufficienti e bastevoli per contenere la diffusione. A metà luglio l’Oms aveva lanciato l’allarme per un’emergenza sanitaria mondiale pronta ad abbattersi e purtroppo le novità negative si sommano in queste ultime settimane: oggi il Ruanda ha deciso di chiudere la frontiera con il Congo dopo l’annuncio di un terzo caso verificato del virus Ebola a Goma, centro commerciale congolese proprio al confine con la repubblica ruandese. «Per decisione unilaterale delle autorità del Ruanda, i cittadini ruandesi non possono partire per Goma, mentre i congolesi possono lasciare la città ruandese di confine di Gisenyi ma è vietato entrarvi. Questa decisione pregiudica i congolesi ed espatriati che vivono a Gisenyi ma lavorano a Goma» ha fatto sapere in una durissima nota il Presidente del Congo, chiedendo che la comunità internazionale intervenga per scongiurare l’isolamento politico, sociale e umanitario di un Paese sempre più bisognoso di aiuti nel momento dell’emergenza sanitaria. Nelle varie città congolesi, specie presso il Nord Kivu, Unicef e numerose Ong e Onlus si stanno occupando di educare ad una più che possibile modalità di prevenzione per l’ebola ma l’emergenza è più grave del previsto.
EPIDEMIA DI EBOLA, L’ALLARME DELL’UNICEF
L’Oms quando aveva avvertito del rischio contagio Ebola aveva anche sconsigliato le restrizioni agli spostamenti delle persone per non incappare in una crisi politica e sociale ben più profonda della già gravissima crisi sanitaria e umanitaria: ora però la decisione del Ruanda apre a scenari imponderabili cui l’Onu dovrà, giocoforza, prendere una posizione netta. Le autorità congolesi hanno fatto sapere che «si stanno mettendo in atto tutte le misure necessarie per contrastare il virus della febbre emorragica», a partire dalla vaccinazione di tutte le persone potenzialmente entrate in contatto con i tre malati confermati. Come ha spiegato alle agenzie internazionali il medico incaricato di coordinare la risposta sanitaria a Goma «il secondo soggetto colpito da ebola è arrivato in città il 13 luglio, ma solo il 30 i medici lo hanno messo in isolamento». Goma ha 2 milioni di abitanti ed è snodo strategico del passaggio tra Congo, Uganda e Ruanda dunque si teme il peggio per possibili altri contatti con il virus letale. Come riportato da “Vita”, l’allarme lanciato giusto ieri Senior Health Specialist dell’UNICEF – Jerome Pfaffmann – presso un briefing all’Onu è di quelli potenti e inquietanti: «Domani si ricorderà un anno dall’inizio dell’epidemia di ebola in Repubblica Democratica del Congo:è un campanello d’allarme, non deve esserci un secondo anno». Il medico poi spiega come al 28 luglio le statistiche sull’Ebola erano già gravissimi: «2.671 casi confermati, fra cui oltre 700 bambini, più della metà dei quali (57%) sotto i 5 anni […] Sono stati segnalati altri 12 nuovi casi confermati. 5 erano vivi e hanno potuto accedere alle cure, ma 7 sono morti nella comunità. Così non va bene. Avere questo numero di morti nelle comunità significa che non siamo più avanti rispetto all’epidemia. Non possiamo sconfiggere questa epidemia se le comunità non vengono interamente mobilitate».