La nuova politica economica della Ue, ammesso che sia nuova, avrà a che fare con un dilemma da risolvere: come coniugare le richieste di extra deficit di una parte minoritaria ma importante di Paesi membri e riequilibrare, ammesso che voglia, il surplus commerciale della locomotiva tedesca.
Un rebus che ognuno risolve a modo suo. I virtuosi del surplus chiedono più efficienza ai discoli del deficit i quali ribattono che senza maggior spesa, a debito, la competizione è falsata e destinata a rendere il baratro tra le economie ancor più spaventoso.
La partita pare ancora tutta da giocare a Bruxelles ed un pezzo della sopravvivenza politica della coalizione di governo in Italia è legata alla capacità di portare a casa un risultato positivo, anche indicando un buon commissario che sappia fare gli interessi del Paese.
Ma la dinamica europea nasconde un’insidia. In questi mesi abbiamo letto e scritto molto sul tema del “regionalismo differenziato” e segnalato come il Mezzogiorno sia del tutto impreparato ad affrontare questa riforma, per alcuni mortale.
Quel che però pare un contrappasso dantesco è l’assoluta simmetria della dinamica europea al contesto nazionale. Anche qui in Italia una locomotiva di Regioni in surplus (Lombardia e Veneto) guarda ai discoli del Mezzogiorno con occhio critico e spesso colpevolista e chiede di correre di più lasciando alle spalle il peso di aree improduttive, ritenendo di dover assegnare loro una percentuale ridotta del “proprio” Pil, giusto per tenerle a galla. Del resto il Mezzogiorno invoca più spesa (più deficit) per superare le dicotomie e le anomalie tra le aree depresse e quelle produttive.
Perché allora non applicare la stesa medicina che si chiede in Europa anche al nostro Paese? Perché nel dibattito interno non vale ciò che il Paese chiede all’Europa?
Esiste infatti la concreta possibilità che per il gioco delle asimmetrie si produca un risultato paradossale, e cioè che più deficit pubblico per la spesa corrente si assommi alle risorse già disponibili per le Regioni più produttive, con l’effetto che il maggior debito pubblico (la flessibilità ottenuta in Europa) si spenda proprio per finanziare le aree del Paese che già viaggiano a buoni livelli. Rischio che l’Europa vede e che ne rafforza le rigidità.
Esiste però un modo ed un precedente per tentare di unire le esigenze e leggere in senso positivo per il Paese lo scenario: invocare il lodo Kohl.
Ovvero destinare – come ottenne il Cancelliere all’indomani dell’unificazione tedesca – tutta la flessibilità ottenuta sui conti e le risorse aggiuntive eventualmente spendibili ad una grande operazione di riequilibrio macroeconomico, proprio come Kohl in effetti fece con successo all’avvio della riunificazione con l’Est. Il debito fu integralmente usato per finanziare le spese di adeguamento infrastrutturale (sociale e politico) di un pezzo del paese, ed anni di deficit (assorbito anche grazie all’operazione euro) hanno consentito alla Germania della Merkel di vivere un lunghissimo (per alcuni ingiusto) periodo di crescita economia.
Gli effetti sul Pil e sui consumi darebbero un immediato effetto positivo per gli operatori economici nazionali e costruirebbero un’evidente prova che il Paese, unito, ha come obiettivo la sua crescita e quella dell’Europa. Un Mezzogiorno a cui dedicare tutte quelle risorse verrebbe chiamato ad uno sforzo di coerenza con la fiducia accordatagli ed avrebbe l’obbligo – da sancire con la lotta senza quartiere alle devianze criminali – di uscire dalla spirale dell’assistenzialismo palliativo in cui è caduto. Senza contare che ciò consentirebbe ad una buona e solidale riforma delle autonomie di produrre effetti.
Ritrovare in Europa l’orgoglio di essere una nazione unita e superare così il pregiudizio di essere un paese destinato per sempre a procedere alla doppia velocità di crescita metterebbe tutte le forze politiche in condizione di avere coerentemente l’occasione di portare a casa un risultato storico per il Paese, di ridare un senso al concetto di Stato-nazione e di risolvere in positivo il rebus del “che fare” dell’Europa. Senza contare che una tale manovra darebbe nuove prospettive e nuove speranze al Mezzogiorno, ma anche al Nord produttivo.