Il ministro degli Interni Amit Shah ha annunciato in Parlamento un decreto che cancella l’articolo 370 della Costituzione indiana che attribuiva uno “status speciale” al distretto del Jammu e Kashmir e consentiva altresì all’India di legiferare solo su difesa, esteri e comunicazioni lasciando il resto al Parlamento locale. Inoltre il presidente Narendra Modi ha presentato al Parlamento indiano un disegno di legge che, in estrema sintesi, prevede che il Jammu e Kashmir sia amministrato da New Delhi, facendo perdere in tal modo al Kashmir qualsivoglia reale autonomia.
Fino a questo momento il Kashmir è suddiviso in tre aree: la prima, quella del Jammu e del Kashmir, è sotto la giurisdizione indiana; la seconda è quella dello Azad Kashmir e del Gilgit-Baltistan che si trova a Nord ed è sotto il controllo del Pakistan. La terza, e cioè la zona Nord-orientale di Aksai Chin, è controllata dalla Cina. Tuttavia questa divisione è assolutamente fittizia, tanto è vero che sia l’India che il Pakistan sono in permanente conflitto politico e militare. Se per l’India l’annessione del Kashmir avvenuta nel 1947 (anno a partire dal quale India e Pakistan si sono militarmente fronteggiate in tre guerre) contribuisce a consolidare l’unione indiana, evitando fenomeni di natura disgregativa a livello etnico e religioso, per il Pakistan al contrario il fatto che la maggioranza della popolazione sia musulmana contribuisce a fare del Kashmir uno stato etnicamente coeso e quindi ne ha sempre legittimato l’appartenenza.
Ebbene, la decisione indiana si può considerare relativamente inattesa, considerando le numerose tensioni che si sono verificate sia il 14 febbraio – a causa di un attentato suicida da parte del gruppo islamista pakistano Jaish-e-Mohammad, legato ad al Qaeda, che ha colpito un contingente dell’esercito indiano a Pulwama – sia il 26 febbraio, quando l’aeronautica indiana ha distrutto il campo di addestramento del gruppo.
Ebbene, è dal 1989 che il conflitto politico e militare tra l’India e il Pakistan si è concretizzato attraverso l’uso del terrorismo prevalentemente localizzato nella Valle del Kashmir e nel distretto di Doda, dove si fronteggiano da un lato gruppi separatisti musulmani kashmiri appoggiati dal Pakistan che rivendicano la legittimità di una guerra santa contro il governo indiano e le forze armate e paramilitari indiane. Ora, secondo le fonti dell’intelligence indiana, tali gruppi terroristici musulmani, provenienti da Afghanistan, Arabia Saudita, Sudan, Libia, Iran e Siria, sono militarmente e finanziariamente sostenuti dagli Stati islamici in funzione anti-indiana. Da un punto di vista politico, il terrorismo che viene alimentato in questa zona contribuisce a porre in essere una guerra permanente e indiretta tra India e Pakistan che ha portato a trasformare la valle del Kashmir in una zona altamente militarizzata. A tale proposito è opportuno ricordare che una delle organizzazioni terroristiche più insidiose – la Lashkar-i-Tobia – finanziata e addestrata dal servizio segreto pakistano e dall’Arabia Saudita, ha agito anche in Italia dove, nel 2015, furono arrestati alcuni affiliati.
Fra l’altro, sotto il profilo militare, non dimentichiamoci che la Russia è un partner fondamentale (già dal 1965): i sistemi antiaerei russi S-400, lo sviluppo congiunto con la Russia del missile da crociera navale Brahmos, il carro armato T-90 costituiscono un esempio illuminate. D’altronde l’India nel marzo del 2019 ha sviluppato un missile anti-satellite sia in funzione anti-cinese (la Cina è infatti il secondo fornitore di armi al Bangladesh in funzione anti-indiana) sia per porre in essere una proiezione di potenza a livello militare.
Accanto allo storico alleato russo, allo scopo di controbilanciare la proiezione cinese nell’Oceano Indiano, l’India ha firmato nel 2005 l’accordo nucleare indo-americano che prevede anche l’acquisto di equipaggiamenti Usa, i quali a loro volta hanno siglato questo accordo per controbilanciare la presenza cinese in Asia orientale. Sempre in funzione di deterrenza anti-cinese l’India aveva acquistato dalla Francia 36 caccia Rafale che andranno a sostituire i Mirage 2000.
A tale proposito è opportuno ricordare che non solo l’India è stato il maggiore importatore d’armi nel periodo che va dal 2012 al 2016 ma, secondo il Sipri di Stoccolma, si colloca al quinto posto per investimenti militari. Inoltre, secondo il Bulletin of the Atomic Scientists, l’India possiede tra le 130 e 140 testate nucleari mentre il Pakistan ne possiede un numero sostanzialmente analogo.
In conclusione, la decisone del presidente Modi deve essere letta, sotto il profilo politico, come la logica conseguenza del suo programma nazionalista volto a trasformare l’India in una nazione coesa etnicamente e religiosamente, in una potenza asiatica in grado di attuare una proiezione di potenza economica e militare in aperta competizione fra l’altro con quella cinese, competizione relativa anche al controllo dell’Oceano Indiano.
Fra gli scenari peggiori ipotizzabili non si può escludere da un lato una quarta guerra indo-pakistana e/o l’aumento delle azioni terroristiche islamiche e separatiste del Kasmir sponsorizzate dal Pakistan.