Chi si chiede quanto durerà questo governo deve innanzitutto rispondere alla seguente domanda: quando mai a un capopartito come Matteo Salvini ricapiterà l’occasione di fare il bello e il cattivo tempo con il 17% dei seggi in Parlamento? La soluzione del quiz è facile, perché non gli succederà mai più. Matteo comanda e la coppia Conte-Di Maio esegue. Per loro, infatti, vale una domanda analoga: quando mai a un azzimato professore di diritto capiterà nuovamente di fare il capo del governo e a un rampante trentenne di esserne il numero due? Risposta scontata: mai più. Dunque, avanti tutta.
Salvini ha contro il Vaticano (ieri ha ricevuto un durissimo attacco da padre Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica), il ceto intellettuale, i giornali che contano (ma non vendono), l’Europa, qualche servizio segreto che fa circolare registrazioni effettuate a Mosca. Come insegnò la buonanima: molti nemici, molto onore. Lo scandalo dei soldi russi non ha scalfito il leader leghista. Le proteste di chi gli rimprovera disumanità e mancanza di solidarietà verso i migranti scivolano via. Il pugno duro sulle Ong ha portato alla Lega voti in Parlamento e consensi crescenti tra gli elettori. La prossima tappa della marcia trionfale è in programma oggi, quando il Senato dovrà votare le mozioni sull’alta velocità ferroviaria: Salvini dovrebbe essere in aula a mettere il suo “sì” alla Tav mentre il ministro Danilo Toninelli sosterrà la mozione no-Tav, visto che essa impegna il Parlamento e non l’esecutivo.
Sulla Tav, Salvini da giorni ripete che “chi dice no mette a rischio il governo”. Mettere a rischio non significa farlo cadere. E infatti l’escamotage trovato dalla cerchia di Toninelli (impegno per le Camere, non per Palazzo Chigi) non provocherà terremoti né crolli. D’altra parte, il risultato che il leader leghista si prefigge non è quello di abbattere l’esecutivo e andare alle urne a settembre, ma sottolineare che è lui a comandare e a tenere i grillini in pugno. Gli alleati sono utilissimi per scaricarvi addosso l’immobilismo del governo e, nei prossimi mesi, anche le responsabilità di una manovra che imporrà sacrifici pesanti.
Dalla sua Salvini ha anche la mancanza di alternative. Dal Quirinale al Pd al mondo produttivo, ci si chiede che cosa sia meglio: tenersi un governo litigioso dove i 5 Stelle non battono chiodo ma c’è comunque un premier che, almeno sulla carta, conserva un ruolo di mediatore e di argine verso lo strapotere salviniano; oppure favorire un ritorno ravvicinato al voto per consegnare il Paese per un quinquennio a Salvini in coppia con Giorgia Meloni. Tutto attorno a Salvini è paralisi: i grillini temono di perdere le poltrone e a ciò sacrificano ideali e promesse, le opposizioni non sono in grado di fornire opzioni diverse, i poteri forti sono convinti che ogni soluzione diversa dal contratto pentaleghista equivalga a cadere dalla padella nella brace.
Oggi dunque è il giorno dell’ultima chiamata, prima della pausa estiva, per provocare uno scossone e giungere al voto a settembre. Probabile che gli ultimatum leghisti rimangano lettera morta, anche perché la via maestra della crisi sarebbe stata un voto di fiducia e non un pronunciamento su semplici mozioni. Ma la fiducia c’è stata, sia pure risicata. Segno che si prosegue, almeno fino a quando non ci sarà da discutere la legge di bilancio.