Diceva Gilbert Keith Chesterton che “la dignità dell’artista sta nel suo dovere di tener vivo il senso di meraviglia nel mondo”. Compito non certo facile, poiché parte dal presupposto di dover assumere un carattere di eternità, per continuare a perpetuare nel tempo quel senso di ammirazione ed entusiasmo che, direbbe Picasso, “scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”.
Questo compito ha parimenti investito pittori e poeti, musicisti e scultori; in breve tutti coloro che, attraverso l’opera delle proprie mani o del proprio intelletto, si sono trovati a plasmare la materia informe costituita talvolta dai colori, talvolta dalla pietra, talvolta dalle note musicali, per farne qualcosa di riconoscibile ed apprezzabile dal cuore e dallo spirito dei loro simili.
Mirabile esempio di uomo che seppe, dal groviglio intricato dello spartito, ricavare opere sublimi è quello di Antonio Vivaldi (1678-1741), la cui vita e le cui opere sono al centro di una mostra allestita a Bologna, nella meravigliosa cornice di Palazzo Fava.
Già di per sé, Palazzo Fava incanta il visitatore, il quale, alzando gli occhi, viene “rapito” dai magnifici affreschi dei Carracci, narranti le vicende di Giasone e Medea in un’atmosfera che non a caso è stata definita da Roberto Longhi “un romanzo storico, immaginato sulla grande pittura precedente capace di oltrepassare le secche del manierismo e di comunicare direttamente ad apertura, non di libro, ma di finestra”.
È tra questi affreschi, dunque, in un percorso di bello nel bello, che le principali sinfonie di Vivaldi si dischiudono al pubblico, non solo in maniera uditiva, ma totalizzante, fondendosi con le immagini e diventandone parte integrante, accompagnate dalla narrazione della vita del compositore.
Dalla prima sala in cui i (supposti) ritratti di Vivaldi tentano di restituirne l’immagine fisica, tale narrazione (fatta in prima persona, attraverso la voce di Giancarlo Giannini) si dipana come un unico filo lungo le vicende che caratterizzarono l’esistenza del compositore veneziano, con particolare attenzione agli anni della sua infanzia, del suo sacerdozio e dell’insegnamento alle orfanelle del Seminario musicale dell’Ospedale della Pietà di Venezia.
Il percorso culmina nell’ultima sala, dove le note delle Quattro stagioni si intrecciano con un tripudio di immagini bellissime e suggestive (Venezia, la natura nel suo mutamento di forme e colori), riprendendo in modo coerente l’intreccio della narrazione poco prima svelato attraverso le parole, per trasformarlo in un’esperienza realmente immersiva.
Di mostre come questa dovrebbero essercene di più. Perché essa costituisce realmente un’occasione, per il visitatore, di immergersi in una realtà e di potervi riflettere, facendo sì che il suo interesse per le tematiche che in questo contesto sono disvelate (la musica, la vita dell’uomo e del compositore, i piccoli e grandi “misteri” che si affollano intorno alla sua esistenza) possano trovare qui un punto di partenza e non di arrivo.
Una mostra non dovrebbe essere un qualcosa di concluso in sé stesso. Non dovrebbe costituire il comodo approdo di chi desidera saperne di più su determinati argomenti. Una mostra dovrebbe, al contrario, rappresentare l’origine, la piattaforma di lancio e la migliore occasione per voler comprendere oltre, per volersi informare meglio, per approfondire tutti gli aspetti che in quel determinato contesto, in sé apparentemente chiuso e risolto, sono appena accennati.
Questo è quanto accade nella mostra su Vivaldi. Il percorso, il viaggio attraverso i frutti del suo genio, inducono a cercare di più, a volere di più. Rispondendo dunque a quel bisogno di appagamento della conoscenza e della bellezza verso cui l’animo umano è profondamente e naturalmente portato.
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La mostra su Antonio Vivaldi, “Vivaldi, la mia vita, la mia musica” è organizzata da Genus Bononiae. Musei nella Città, e sarà visitabile a Palazzo Fava fino al 3 novembre 2019.