Padre Luciano Mazzocchi, per lungo tempo missionario saveriano in Giappone, promotore del dialogo Vangelo e Zen, cappellano della comunità giapponese di Milano, insieme a Wakako Saito, docente di lingua e cultura iItaliana, religione e dignità dell’uomo all’Università Aichigakuin a Nagoya (Giappone) è il protagonista dell’incontro di oggi 21 agosto al Meeting di Rimini. L’incontro si intitola “L’uomo di fronte al mistero. Nagai, incontro di due esperienze religiose”, ed è dedicato al grande studioso giapponese morto per i postumi della bomba atomica su Nagasaki, convertitosi al cattolicesimo, Takashi Paolo Nagai, ma ovviamente si parlerà anche di molto altro. Ce lo ha anticipato padre Mazzocchi in questa intervista.
L’incontro di oggi prende spunto dalla figura di Takashi Paolo Nagai, il cui apporto sulle conseguenze delle radiazioni dopo la bomba su Nagasaki fu fondamentale. Che altri temi toccherete?
Partiremo dalla memoria di questo grande uomo, dagli avvenimenti che lo hanno così profondamente coinvolto. Personalmente mi concentrerò però anche su quel crinale dove oggi la storia ci ha condotti.
Che crinale intende?
Un crinale che si fa sempre più influente perché è il confluire di tante sensibilità culturali e religiose a cui oggi assistiamo. È il crinale dove l’uomo sente di confinare con il Mistero. Si tratta tanto del verbo “confinare” che del verbo “sconfinare”.
Ci spieghi questa differenza.
Confinare vuol dire che si è sulla soglia, però contemporaneamente la soglia è una porta, non divide, è il passaggio dal dentro al fuori, il passaggio da quanto l’uomo ha conosciuto a un’apertura su un “oltre” rispetto alla sua esperienza, la sua conoscenza o anche l’esperienza religiosa.
Si può paragonare a quel ponte di cui parla tanto il Santo Padre? Un ponte che unisca culture diverse?
Sì. Un ponte ha due piloni che proprio perché sono contrapposti, cadrebbero, uno in una direzione e l’altro nell’altra, se non si incontrassero nell’uno che è il ponte. L’immagine del ponte dà l’immagine di una solidità, pensando alla storia cristiana il ponte è stato l’incontro fra l’uomo biblico e l’uomo pensante della Grecia.Ora ci troviamo invece su un ponte che non è ancora consolidato.
In che senso?
Le due parti del ponte sono in una situazione di instabilità la quale è l’instabilità del futuro della speranza, della fede. È un confine ma in questo confine si sconfina.
Lei ha detto una volta che “l’attrazione che l’uomo occidentale prova verso il buddismo è indice di una evoluzione di fede in atto nella nostra epoca, un segno dei tempi dalla portata storica”. Ha anche detto che è in atto una penetrazione buddista nella nostra Italia e nell’Europa. Eppure molti cristiani temono questa “penetrazione”, specie quella islamica. Come mai?
Il buddismo e l’islam svolgono su noi cristiani un interrogativo diverso. l’islam è basato su quanto nel cammino cristiano è chiamato dogma, nell’islam la parola è codificata da Dio stesso, l’uomo è uno strumento passivo. Non c’è questa verità tutta intera verso cui si procede che si manifesta proprio nel cammino. L’islam esercita su noi cristiani una sfida molto differente da quella del buddismo.
Qual è la sfida del buddismo invece?
L’espressione religiosa è riassunta tutta in questo aggettivo che traduciamo con “vuoto”. Tutto è inconsistente, tutto è quantificato con illusorietà. Accogliendo questa concezione noi possiamo comunicare, lasciare agire la nostra essenza fondamentale che è il vuoto. il cristianesimo è invece una tensione continua verso la forma concreta dell’incarnazione, ma anche il Dio incarnato che muore in croce. Il buddismo e l’islam hanno sponsorizzato una tendenza o verso il vuoto o verso una presenza codificata e cristallizzata della volontà di Dio. Anche la Chiesa per molti secoli è caduta nel dogmatismo, mentre il vero cristiano sta sulla soglia. Abbiamo oggi un concetto di Dio quasi fosse un ente personalizzato, ma nessuno ha mai visto Dio e proprio per questo lo senti sempre immanente. Un oltre che è una trascendenza immanente, quella della croce che è formata appunto da una linea verticale e orizzontale.
Lei ha vissuto in Giappone, è un profondo conoscitore dello zen, che cosa di buono può dare a noi cristiani questa conoscenza? Ha visto il film di Martin Scorsese sui martiri giapponesi, dove l’interrogativo ultimo è il silenzio di Dio nei nostri confronti?
Sì l’ho visto. Queste espressioni violente accompagnano la storia del popolo giapponese, come si è visto anche nell’ultima guerra. L’oriente, proprio perché non risiede sulla soglia e non accoglie la stabilità ma dichiara l’illusorietà del momento che si consuma, passa da estremi di delicatezza a estreme forme di crudeltà. Questo accade tutt’oggi pensiamo al dramma dei ragazzi giapponesi che si chiudono in camera loro e non ne escono più. Paradossalmente oggi con l’incontro globale delle culture si assiste in Giappone e in oriente a un interesse vastissimo verso lo stile di vita occidentale e al contrario in occidente sentiamo attrazione verso forme di vita maturate in India, Cina, Giappone. Le forme più esasperate dell’occidente industriale le troviamo in Cina, per lo zen invece troviamo più interesse in Europa che in Oriente.
Questo cosa comporta?
Rimanere sulla soglia è un atto molto vero e nobile dal punto di vista umano ma è anche un atto mistico di fede, lasciarsi disturbare e visitare da espressioni nuove. La vera forma religiosa è la fiducia mistica nel momento in cui stiamo vivendo una presenza di Dio. Siamo sulla soglia a custodire quanto ci è stato dato e aprirci a quello che gli altri popoli ci comunicano lasciando che lo Spirito agisca.
Come è vista oggi la presenza dei cristiani in Giappone? È una presenza in crescita?
Purtroppo non c’è crescita. Ci sono molti immigrati cristiani come i filippini, i coreani, paese dove il 30% della popolazione è cristiana. In Giappone i cristiani sono l’1%.
Come mai questo?
È una ferita che sento anche io dentro di me, me lo chiedo continuamente. Abbiamo avuto espressioni letterarie di cristiani di alta qualità e credenti grandemente rispettati in Giappone, ma questa è la cima della montagna, una montagna a cui manca la base. C’è una difficoltà nella comunicazione. Quando parliamo di un Dio creatore, un ente che potrebbe sussistere senza la creazione, il giapponese non lo capisce, si sente una briciola nell’universo. Noi ci consideriamo a immagine di Dio, per i giapponesi non ha senso. Al giapponese manca il punto centrale della sua persona, non ha l’Io, l’individuo, non può percepirsi come persona libera a immagine di Dio. Ha una visione di sé che è conseguenza del confucianesimo: io sono dio e devo fare la mia parte, ma non è il mio Io, il mio Io è il mio posto nella società, ciò che esula, che si intromette è uno scandalo.
(Paolo Vites)