Ieri si è consumata la rottura ed è finita la corsa del governo giallo-verde, con Salvini che intende sfiduciare Conte in Parlamento. Il quadro politico ha subito una forte accelerazione dopo che ieri Conte ha lasciato il Quirinale e dal Colle hanno fatto sapere che non si era parlato di crisi o dimissioni. A quel punto una nota della Lega ha suonato il de profundis: “inutile andare avanti fra no, rinvii, blocchi e litigi quotidiani. Ogni giorno che passa è un giorno perso, per noi l’unica alternativa a questo governo è ridare la parola agli italiani con nuove elezioni”.
In conferenza stampa, Conte ha accusato Salvini di volere la fine del governo solo per ragioni di consenso e lo ha invitato a darne conto davanti al Parlamento. Il voto di fiducia potrebbe essere subito dopo ferragosto.
“Adesso mi pare che Conte non abbia più vie di uscita” dice al Sussidiario Paolo Becchi, filosofo e osservatore politico, fino al 2016 vicino a M5s e in rapporti diretti con Gianroberto Casaleggio. Oggi con Salvini. Per Becchi non serve un governo di transizione. Una volta a Palazzo Chigi, Salvini rimetterà mano alla manovra “stravolgendola entro il 31 dicembre”.
Salvini vuol sfiduciare Conte in Parlamento. Perché?
È un passaggio obbligato dettato dal fatto che Conte non vuole fare quello che sarebbe stato normale fare: rassegnare le dimissioni al capo dello Stato. Conte è andato da Mattarella, ma non ha fatto quello che doveva fare e allora Salvini gli ha chiesto di venire in Parlamento per comunicargli con tanto di voto di sfiducia che il governo non ha più il suo sostegno. A mali estremi estremi rimedi. Mi pare che Conte non abbia più vie di uscita.
Ripercorriamo le tappe di una giornata lunghissima. Cosa si sono detti ieri mattina Conte e Mattarella?
Non lo sappiamo, ma possiamo supporlo. L’incontro è durato mezz’ora ed è assai probabile che abbiano parlato di ciò che è successo in Parlamento sulla Tav. Conte avrebbe dovuto prendere atto che la maggioranza su cui si regge il suo governo non c’è più. E quindi dare le dimissioni.
Il Quirinale ha fatto sapere alle agenzie che non si era parlato di crisi o dimissioni.
Ma la crisi di fatto era già nelle cose. Lo era fin da mercoledì sera, anche se nessuno ha voluto vederla. La conferma l’abbiamo da quello che è successo nella giornata di ieri: tutti allora hanno visto tutto. Anche se non ha presentato le dimissioni, Conte è stato costretto ad andare dal presidente della Repubblica.
Perché costretto?
Non credo volesse farlo. Ma poi è stato costretto a farlo.
Eppure Conte se n’è andato come se nulla fosse successo.
È evidente: per scaricare su Salvini la responsabilità della crisi. Non rendendosi conto che la politica è una cosa seria e che quello che è successo in Parlamento non poteva non rimanere senza conseguenze.
Salvini aveva già escluso mercoledì sera a Sabaudia l’ipotesi di un rimpasto. Perché no?
Parlare di rimpasto ha senso se un’esperienza di governo continua. Qui invece è cambiato tutto: la partita con M5s è terminata. Stavolta indietro non si torna. I giornaloni hanno insistito sul rimpasto mettendola nell’unico modo che potevano per screditare Salvini: vuole più posti. Invece lui voleva un nuovo governo.
Cosa farà Mattarella?
Dovrà prendere atto della situazione. Alle elezioni anticipate non ci sono alternative.
Un governo tecnico?
Mi sentirei di escluderlo. Cosa direbbero gli italiani? Un governo di emergenza alla Monti avrebbe bisogno dell’appoggio di tutti, oggi non lo avrebbe da parte di nessuno. Come vi ho già detto, il quadro politico è completamente mutato. Mattarella può non vederlo?
Una volta aperta una crisi, bisogna gestirla. Salvini lo ha messo in conto?
Di Salvini si potrà dire tutto, tranne che sia uno sprovveduto. Ho ragione di ritenere che se ha aperto la crisi, lo ha fatto perché è convinto che il presidente della Repubblica non cercherà in tutti i modi di mettersi di traverso.
D’accordo sul governo tecnico. Mattarella potrebbe però proporre un governo di minoranza con il compito di fare la Nota di aggiornamento al Def. Una polpetta avvelenata per il governo che arriva dopo le urne.
Se si torna a votare il prima possibile, cioè entro metà ottobre, non c’è bisogno di nessun governo tecnico. A Palazzo Chigi resta Conte dimissionario fino all’insediamento del nuovo governo, a metà novembre. A metà ottobre, prima delle urne, presenta le modifiche al Def alla Commissione europea. Una volta a Palazzo Chigi, Salvini ha tutto il tempo di stravolgere la legge di bilancio nel passaggio parlamentare entro il 31 dicembre.
Ma Mattarella potrebbe volere un nuovo governo, di minoranza o balneare che dir si voglia, per non far gestire le urne a Salvini da ministro dell’Interno.
Se Salvini ha deciso di andare avanti credo che abbia avuto assicurazioni autorevoli in merito. Ma su questo non posso e non voglio dire di più. Insisto: Salvini finora è stato sempre un grande tattico e non ha mai sbagliato una mossa. Prima di essersi deciso ad andare in una certa direzione ha di certo valutato tutti i rischi.
Di Maio è apparso frastornato. Per tutta la giornata ha parlato di poltrone, giochi di palazzo.
Di Maio ormai è finito, o per lo meno è finita questa esperienza di governo nel complesso piuttosto deludente. Umanamente dispiace, perché penso che Di Maio sia stato corretto nei confronti di Salvini, ma ha commesso troppi errori.
Partiamo dall’ultimo, il più macroscopico.
La mozione sulla Tav. In fondo era sufficiente non votare le altre mozioni per marcare la differenza e invece si è scavato la fossa da solo.
E poi?
Di Maio non ha saputo metabolizzare la sconfitta alle europee. Invece di dedicarsi alla “visione” necessaria alla sopravvivenza di M5s, ha pensato che fosse solo un problema di organizzazione. Nel frattempo è cresciuta l’opposizione contro di lui, fino al caso di Bugani che ha portato alla luce un malessere profondo.
Cos’avrebbe dovuto fare?
Un grillino della prima ora avrebbe interrogato la Rete, ad esempio sulla continuazione o meno dell’esperienza di governo con la Lega, invece Di Maio si è chiuso nel suo cerchio magico.
Resterà ancora capo politico del Movimento?
Grillo può sfiduciarlo ma non credo lo farà e poi per cosa, per sostituirlo con Di Battista? Di Battista è un attore, ma senza Gianroberto Casaleggio che gli scriveva la parte non è in grado di incidere. Come ebbi a dire dopo la morte di Gianroberto, senza di lui il M5s avrebbe fatto poca strada.
Eppure, il 4 marzo 2018 M5s ha ottenuto il 32%.
Tutti dopo quel voto mi hanno criticato, ma senza Casaleggio padre era finita una visione del Movimento e Di Maio non è riuscito ad offrirne una nuova.
E adesso?
Adesso Grillo, se vorrà, potrà solo cercare di contenere le perdite, ma credo che non abbia voglia di farlo. Il giocattolo non lo appassiona più.
(Federico Ferraù)