Sono passati 50 anni dalla morte di Sharon Tate, brutalmente assassinata nella sua casa di Bel Air l’8 agosto del 1969 mentre era incinta del figlio che avrebbe dato al regista Roman Polanski: uno dei casi più misteriosi e macabri della “nera” americana torna a far parlare di sé in occasione di quella ricorrenza anche perché la mente (malata) che ordì la strage era quella di Charles Manson e la sua setta, una vicenda che peraltro ha colpito e ispirato generazioni di filmmaker in quel di Hollywood, non ultimo in ordine di tempo lo stesso Quentin Tarantino che della Tate ne ha sempre fatto una sorta di icona e che in qualche modo è stata celebrata nel suo “C’era una volta a Hollywood…”. L’allora 26enne attrice nata in quel di Dallas rappresenterà l’ultima vittima nella lunga scia di sangue di Manson, e assieme a lei in quella circostanza la polizia di Los Angeles troverà altri quattro cadaveri nella villa del 10050 di Cielo Drive, teatro del massacro di quella che all’epoca si faceva chiamare la “Family”: la Tate fu quella su cui i criminali si accanirono, dato che nonostante era incinta fu prima torturata con del filo di nylon e poi accoltellata ripetutamente al petto. Ancora oggi peraltro sulla strage aleggiano ancora dei misteri e qualcosa non torna: ed è per questo che rimane un capitolo aperto non solo per i media ma per lo stesso Polanski, che poi nel corso della sua vita avrà altre traversie personali.
LA STRAGE DI BEL AIR E L’ICONOGRAFIA POP DELLA TATE
Uno dei particolari più agghiaccianti di quel giorno è che Sharon Tate avrebbe implorato ai suoi aguzzini di poter vivere almeno qualche altro giorno, essendo oramai all’ottavo mese di gravidanza: e invece verrà uccisa perché, parole della giovanissima Susan “Sadie” Atkins, “Non ce la facevo più a sentirla frignane”. Non è un caso quindi che qualche tempo fa l’annuncio di Tarantino di voler far rivivere, almeno in celluloide, l’attrice che solo nel 1968 aveva sposato Polanski in quello che era stato uno degli eventi dell’anno, abbia destato qualche perplessità. Nell’America di oggi c’è ancora chi esalta Manson come una divinità, ne acquista le magliette con l’effigie e ne cerca i cimeli. In “C’era una volta Hollywood…” il regista statunitense ha scelto l’attrice Margot Robbie per impersonare la Tate, per una versione che ha già diviso la stampa specializzata e che dimostra quale sia il rapporto di Tarantino con questa icona che da tempo lo affascina e lo tormenta. “Mi sono innamorato di lei mentre facevo delle ricerche sulla sua vita”, spiegando poi come mai abbia voluta renderla nella finzione filmica così eterea e protagonista di alcune scene al rallentatore. E non era un caso che fosse il re del pulp a portare in scena quella che rappresenta per molti la fine dell’utopia di una certa idea di America e, per altri, uno degli eventi più scabrosi del secolo scorso tanto da assurgere a manifesto del male assoluto che Charles Manson incarnò.