Uno degli strumenti di influenza rilevante sull’Africa da parte francese – accanto ai numerosi interventi militari – è certamente il soft power. Nel 2009 il gruppo francese Areva ottenne l’appalto al posto di una ditta cinese per lo sfruttamento delle miniere di uranio di Imouraren in Niger grazie alle pressioni di Sarkozy sul presidente nigeriano Mamadou Tandja.
Non dobbiamo dimenticare che il Niger è un territorio fondamentale per l’importazione francese di uranio, poiché copre il 30% del suo fabbisogno civile e oltre il 100% del suo fabbisogno militare e di conseguenza senza lo sfruttamento dell’uranio non ci sarebbe l’energia nucleare che assicura quasi tre quarti della produzione di energia elettrica in Francia né, tantomeno, ci sarebbe alcuna autosufficienza energetica o deterrenza nucleare che le consente di salvaguardare la sua sovranità militare rispetto agli Stati Uniti. In altri termini, la zona del franco Cfa (la valuta utilizzata da 14 paesi africani, ndr) continua a offrire alle imprese francesi una posizione dominante cioè di monopolio.
La sopravvivenza di molte multinazionali francesi è legata al continente nero. Ad esempio il 25% del fatturato globale del gruppo multinazionale francese Bolloré e l’80% dei suoi profitti globali dipendono proprio dalla sua presenza in Africa. Non a caso i membri dei consigli di amministrazione degli investitori africani in Africa provengono dalle principali multinazionali francesi e cioè, per esempio, oltre che dal gruppo Bolloré, dal gruppo Edf, Total, Société Générale etc.
Tuttavia la presenza della Cina in Africa sta ridimensionando in modo rilevante l’influenza francese. Infatti, tra il 2000 e 2011, la Francia ha avuto una rilevante flessione nella sua quota di mercato, mentre quella cinese è aumentato di ben otto volte tra il 1990 e il 2011 passando cioè dal 2 al 16%. Inoltre nel 2013 la Cina è stata in grado di superare la Francia persino nella zona del franco Cfa, arrivando a conseguire una quota di mercato del 17,7%.
Approfittando dell’attuale debolezza francese in Africa, la Germania sta attuando una postura politica offensiva, con la creazione di un fondo di un miliardo di euro per promuovere gli investimenti delle Pmi tedesche nel continente africano. Ebbene questo nuovo interesse della Germania per il continente africano ha trovato una risposta quasi immediata in Francia che, tramite il presidente Emmanuel Macron, ha annunciato nel 2017, a Ouagadougou capitale del Burkina Faso, il lancio di un investimento di un miliardo di euro per le Pmi africane e francesi che vogliono investire in Africa. Tuttavia, il vantaggio storico della Francia rispetto alla Germania consiste nel fatto che la Francia è stata a lungo un giocatore chiave a livello economico nel continente, anche attraverso la Total, la Société Generale e la Peugeot.
La necessità di attuare una politica offensiva da parte francese nasce anche dalle analisi della Compagnia di Assicurazioni per il Commercio Estero (Coface) pubblicate nel giugno 2018, secondo le quali le quote di mercato delle esportazioni francesi in Africa si sono dimezzate poiché sono passate dall’11% nel 2001 al 5,5% nel 2107. Queste perdite hanno favorito la Cina e l’India, i cui prodotti economici hanno invaso il continente africano grazie a una strategia economica sempre più aggressiva.
Ad esempio, nel settore farmaceutico i profitti francesi sono stati quasi dimezzati rispetto allo stesso periodo (dal 33% nel 2001 al 19% nel 2017) a favore dell’India che è passata dal 5% al 18% grazie ai farmaci generici a basso costo. Insomma cinesi, indiani ed anche turchi arrivano con prodotti più economici molto vicini alle esigenze del mercato africano.
Anche nel settore automobilistico la concorrenza di Cina e India (che è diventato il quarto fornitore africano in questo settore) ha danneggiato le imprese francesi che erano già alle prese con la fortissima concorrenza di giapponesi e coreani. Inoltre, la Francia ha perso importanti contratti in Africa a causa della Cina: l’assegnazione della costruzione di un megaprogetto idroelettrico in Nigeria alla Ccec cinese a scapito di Bouygues e Vinci e Inga III, il progetto di diga idroelettrica faraonica, nella Repubblica Democratica del Congo, stimato in 80 miliardi di dollari, che è stato assegnato alla cinese China Three Gorges Corporation.
Questa situazione cambia profondamente a vantaggio delle imprese francesi se guardiamo al mercato sud africano che è il principale partner economico con un volume di scambi di 2,9 miliardi di euro nel 2017, mercato sudafricano che è strutturato per assorbire l’economia delle grandi aziende.
Una delle strategie poste in essere dalla Francia per contenere vecchi e nuovi concorrenti in Africa passa anche attraverso la formazione.
Si pensi, a tale proposito, sia a Guy Gweth – fondatore di Knowdys e presidente del Centre Africain de Veille et d’Intelligence Économique che ormai da diversi anni agisce con successo nel teatro africano – sia alla Scuola panafricana di intelligence economica, sorta dalla collaborazione tra il Centro di Studi diplomatici e strategici di Dakar (Ceds) e la Scuola di guerra economica di Parigi, sia infine alla realizzazione del primo Master in intelligence economica a Rabat (Marocco) diretto da Ali Moutaïb, ex allievo della l’École de Guerre Économique. Naturalmente lo scopo del Master rivolto al mondo dell’impresa marocchina, è finalizzato ad offrire alle élites marocchine una griglia di lettura del mondo contemporaneo che ponga l’ enfasi sulla centralità della guerra economica e della intelligence economica ma è soprattuto finalizzato a rafforzare la presenza francese in Africa.