Il quarantesimo Rossini Opera Festival (Rof) è iniziato l’11 agosto all’Arena di Vitrifrigo a Pesaro. L’opera inaugurale è stata Semiramide, una nuova produzione, la terza da quando il Festival ha preso l’avvio nel 1980. Questo eros, sesso e potere sembrano essere il tema della manifestazione. Tema molto esplicito nella prima delle tre opere, presentato in modo quasi scolastico da un Rossini adolescente, e reso argomento di una commedia “per adulti” nella terza i cui doppi sensi fecero cadere la scure della censura dopo solo tre rappresentazioni a Bologna.
Semiramide è l’ultima opera che Rossini compose su commissione di un teatro italiano: La Fenice di Venezia, dove ha avuto il debutto il 3 febbraio 1823. Semiramide è anche tra le pochissime opere serie di Rossini che è stata eseguita, anche se spesso in versioni mutilate, per tutto l’Ottocento. Ciò principalmente a causa di due cantanti, le sorelle di Marchisio (un mezzosoprano/contralto e un soprano) che sono state protagoniste di importanti produzioni a Parigi e altrove, tra cui l’inaugurazione, nel 1889, dell’allora nuovissimo Teatro Costanzi (ora Teatro dell’Opera) di Roma.
Semiramide è un’opera di dimensioni wagneriane. Il primo atto si snoda in 140 minuti, anche se ha solo sette numeri musicali, oltre l’ouverture. Il secondo atto dura 120 minuti e ha sei numeri musicali. Ogni numero musicale è una scena, anche quando esso comprende solo un recitativo e un’aria o un duetto. I recitativi sono accompagnati, non “secchi”. L’orchestra ha un ruolo importante, più importante che in molte opere di quel periodo, tra cui quelle di Rossini. L’orchestrazione è di lusso e richiede un ensemble di grandi dimensioni dove gli strumentisti siano tutti molto esperti e abituati a lavorare insieme.
Il Rof e la Fondazione Rossini hanno effettuato un importante lavoro filologico per ricostruire Semiramide come originariamente concepito dal compositore: come un’opera grandiosa, ancora più opulenta di quelle ideate da Gaspare Spontini per l’Imperatore di Francia e il re di Prussia. La produzione, che ha debuttato al Rof, è una joint-venture con l’Opéra Royal de Wallonie-Liège dove sarà vista e ascoltata l’anno prossimo.
Il libretto, di Gaetano Rossi, è tratto da una tragedia di Voltaire. La trama è, allo stesso tempo, semplice e complessa. La Regina Semiramide (Salome Jicia) ha ucciso il proprio marito Nino quindici anni prima che si alzi il sipario. Suo partner nell’omicidio è stato il generale Assur, allora suo amante (Nahuel Di Pierro). Assur sperava di sposare la Regina e per questo motivo ha fatto sparire il figlio di lei e di Nino, Ninia (Varduhi Abrahamyan). Semiramide non ha mai sposato Assur ed ora è attratta dal giovane generale Arsace: né la Regina, né il giovane sa che è Ninia. In realtà, Arsace è innamorato della principessa Azema (Martiniana Antonie) che, a sua volta, è corteggiata dal re indiano Idreno (Antonino Siragusa). In questo pasticcio, il sommo sacerdote Oroe (Carlo Cigni) impedisce il matrimonio incestuoso tra Semiramide e Arsace e anche le ambizioni di Assur di impalmare la Regina e diventare Re. Dopo un certo numero di complicazioni, Arsace scopre che egli è Ninia e cerca di uccidere Assur che aveva assassinato suo padre, ma nel buio del Mausoleo di Nino pugnala a morte sua madre, Semiramide.
Il vero protagonista è il maestro concertatore e direttore d’orchestra Michele Mariotti (ora una star internazionale) che guida l’orchestra sinfonica nazionale della Rai. Non solo, come detto in precedenza, l’orchestrazione è elemento chiave dell’opera, ma Mariotti e l’orchestra l’hanno resa smagliante e fusa sapientemente con la parte vocale. Mariotti ha dato gli “attacchi” per i cantanti, in modo che l’opera scorresse molto bene per più di quattro ore e mezza, compreso un intervallo. Mariotti rallenta e accelera i tempi, accentuando la drammaticità del lavoro.
Semiramide è un’opera dove dominano le voci femminili; come ricordato, è rimasta nel repertorio anche nei decenni in cui imperava il melodramma verdiano principalmente a causa di due sorelle che interpretavano la Regina e il giovane generale Arsace. Al Rof c’erano due splendide voci. Il soprano Salome Jicia è ben noto e pochi mesi fa questa testata ha riferito il suo successo al Maggio Musicale Fiorentino come protagonista de La straniera di Bellini. Il mezzosoprano/contralto armeno Varduhi Abrahamyan è stata una vera rivelazione almeno per me. L’avevo ascoltata all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ma sono rimasto colpito dalla sua abilità drammatica e vocale in un difficile ruolo. Particolarmente affascinanti i loro duetti, in particolare quella, altamente drammatica, al secondo atto. Nahuel Di Pierro ha il giusto tocco di basso-baritono rossiniana e Antonino Siragusa è un tenore di buona tessitura rossiniana ben preparato e con esperienza. Martiniana Antonie è un buon soprano leggero e Carlo Cigni un basso autorevole. Il coro del Teatro Ventidio Basso, guidato da Giovanni Farina, era efficace, ma in quest’opera non ha un ruolo simile a quelli del periodo napoletano di Rossini.
Nel 1992, con una bella regia di Hugo De Ana la prima produzione di Semiramide al Rof è stata abbastanza tradizionale. Nel 2003, la seconda produzione (affidata a Dieter Kaegi) fu piuttosto controversa perché sembrava sviluppare la trama tra “guerre stellari” e astronavi. In questa terza produzione, l’azione si svolge in un’epoca atemporale. L’ambiguità di genere è accentuata dal fatto che sia la Regina, sia Arsace indossano un tailleur nero e scarpe a tacchi alti. Assur tenta di riconquistare Semiramide con amplessi sui divani di un salotto di una moderna grande città. L’ombra di Nino è sempre in scena. La regia di Graham Vick, le scene e i costumi di Stuart Mann, le luci di Giuseppe Di Iorio accentuano l’atemporalità del dramma e gli sviluppi psicologici. Mi ha appassionato, ma non tutto il pubblico ha gradito.
Applausi dopo ogni numero. Ovazioni a Mariotti e alle due protagoniste femminili, ma fischi misti ad applausi al “team creativo” responsabile di regia, scene e costumi.