Anche questa settimana i mercati hanno dato segnali di evidente nervosismo con il peggior calo dell’anno per quello americano. Continua però a esserci ampia distanza tra quanto “dicono” i mercati e i dati macroeconomici e la percezione che si ha invece dello stato dell’economia. Il mercato americano dopotutto viaggia ancora molto vicino ai massimi di sempre, eppure è bastata una “giornata no” perché Trump chiamasse d’urgenza i tre CEO delle maggiori banche americane, come riportato da Bloomberg, per fermare immediatamente la caduta dei mercati. La “cavalleria” si è vista molto bene ieri. Quello che è certo è che le banche centrali sono molto in ritardo non solo rispetto all’evoluzione dell’economia, ma anche rispetto ai “mercati” che si rendono perfettamente conto di quanti e quali siano i rischi potenziali. Il mercato obbligazionario manda da tempo segnali di stress, ma negli ultimi giorni la curva dei tassi sconta una recessione che nell’azione delle banche centrali ancora non si vede.
La domanda che si pone è cosa debba accadere perché le banche centrali comincino a comportarsi come richiede lo stato dell’economia globale e come “chiedono i mercati” quando scontano tutti i rischi potenziali del rallentamento globale e delle tensioni geopolitiche, considerando che non sono mai veramente guariti dalla crisi del 2008. Il rischio infatti è che si inneschi un circolo vizioso tra mercati altamente volatili e in calo e crisi economica che faccia danni troppo grandi e troppo velocemente e metta le banche centrali nelle condizioni di poter solo raccogliere i cocci. Si è visto benissimo mercoledì quanto sia fragile e precario l’attuale equilibrio e quanto velocemente il pendolo dell’umore degli investitori possa spostarsi verso il panico.
Sarebbe preferibile, forse, un evento immediatamente traumatico e breve che possa dare subito il pretesto alle banche centrali per fare retromarcia e mettersi in pari con le condizioni fragili dei mercati finanziari e dell’economia globale. Ci si ritroverebbe da subito in uno scenario in cui i mercati possono essere almeno sicuri di poter contare su molti trimestri di tagli e di politiche monetarie espansive. Una fase che potrebbe coprire tutto il tempo che corre tra oggi e le prossime elezioni americane e l’accordo commerciale, di qualsiasi tipo esso sia, tra Usa e Cina. Ci rendiamo conto che i problemi di una crescita squilibrata rimarrebbero sul tappeto, ma in questa fase occuparsi di questioni di lungo periodo non ha moltissimo senso.