A cinque anni di distanza da “Un ragazzo d’oro”, Pupi Avati è tornato dietro la macchina da presa per “Il signor Diavolo”: il film uscirà al cinema domani, giovedì 22 agosto 2019, e c’è grande attesa per l’ultima fatica del grande maestro di Bologna. Oggi, all’Arena Puccini, è in programma l’anteprima e lo stesso Avati rivela di vivere sentimenti contrastanti ai microfoni di Repubblica: «La paura è stata il motore di molte mie storie, ma di questo terrore da botteghino dopo 48 lungometraggi farei volentieri a meno. Certo uscire il 22 agosto… La critica lo ha accolto molto bene, eppure mi gioco il futuro». Un film che segna il suo ritorno al genere: «Perché ogni volta che prendo parte a un incontro pubblico c’è qualcuno che mi chiede di autografare la copertina di un solo dvd: “La casa delle finestre che ridono”, o al massimo di “L’arcano incantatore”. Degli altri miei film non si ricorda nessuno, e allora sono tornato al genere».
PUPI AVATI, IL RITORNO CON “IL SIGNOR DIAVOLO”
Pupi Avati ha poi spiegato da cosa nasce “Il signor Diavolo”: «Dal buio dell’infanzia, da questa stanza dove venivi abbandonato la sera dopo una favola, spesso paurosa». Prosegue il regista, raccontando la trama del suo ultimo lavoro: «Nel Veneto degli anni ’50, dove è ambientato, la paura è quella per Emilio, ragazzino disabile e deforme, che sembra sia stato ucciso da un suo coetaneo, sobillato dalle suore e dal sagrestano perché convinti si trattasse di un’incarnazione del maligno». Pupi Avati si sofferma poi sulla scelta di scegliere un funzionario Dc per le indagini sul caso: «Siamo alla vigilia delle elezioni. Il Veneto era un feudo democristiano, da Roma arriva un solerte funzionario per dimostrare che la Chiesa non è implicata. Un’Italia che conosco bene, con la mia famiglia socialista da parte di madre, democristiana da quella di padre Tutto verosimile nell’Italia di quegli anni. E il verosimile è il fondamento del gotico, l’ingrediente per entrare nell’inverosimile».