Al Meeting di Rimini c’è spazio anche per il cinema. Non solo con la rassegna di film organizzata da Sentieri del Cinema che si è chiusa ieri, ma anche con il dialogo in programma oggi (ore 19:00 Arena Percorsi A2) tra il regista e sceneggiatore Gennaro Nunziante e Otello Cenci, regista teatrale e Direttore artistico del Dipartimento Spettacoli Fondazione Meeting, sotto il titolo “In commedia stat virtus”. Abbiamo raggiunto Nunziante prima del suo arrivo a Rimini.
Lei partecipa al Meeting per la prima volta. Cosa si aspetta di trovare a Rimini in questo evento giunto alla quarantesima edizione?
Non conosco il Meeting, spero di trovare sorrisi e metafisica.
La commedia può essere vista semplicemente come l’occasione per una serata spensierata, per un’ora e mezza di risate… Per lei cos’è la commedia?
Quando scrivo una commedia penso di contribuire alla crescita spirituale dell’umanità, si tratta di un’illusione assurda e presuntuosa di cui sono totalmente consapevole, ma è la leva che mi permette di sollevare tante giornate di lavoro nelle quali è seduta fissa accanto a me la disillusione, l’assoluta certezza che le mie commedie contribuiscono solo a vendere pop corn e bibite al bar del cinema.
Non c’è dubbio, e anche i suoi film ne sono una prova, che la commedia è un genere che piace al pubblico italiano, ma che non sembra essere vista di buon occhio da certa critica o dai festival del “cinema che conta”. Secondo lei perché?
Perché dovremmo occuparci di dare una risposta a un quesito così irrilevante?
Come vede il futuro del genere commedia, specialmente in Italia?
Lo vedo come il presente, un prodotto per la televisione italiana, dopotutto i committenti cinematografici sono in larga maggioranza proprietari di canali televisivi.
Cosa l’ha portata a lavorare prima come sceneggiatore e poi come regista (senza dimenticare anche le parti di attore)?
Mia madre che confondeva sceneggiatore con scenografo, facendo il regista le ho semplificato la vita.
Quanto il suo lavoro di sceneggiatore ha inciso/incide su quello di regista?
La regia è una scrittura proprio come la sceneggiatura. Anche il montaggio è scrittura.
Lei ha dei riferimenti, dei maestri, a cui si ispira per i suoi film?
I maestri non vanno mai citati. Quando li nomini tu ci guadagni in prestigio, ma lo fai perdere a loro.
Ha mai pensato di tradurre un libro in film?
Sì, un racconto di Enrique Vila Matas, forse un giorno chissà.
Ci può svelare, magari anche solo in parte, su cosa sta lavorando ora?
Sono in letargo, che nel mio caso vuol dire piena attività di scrittura e analisi del testo. Qualche settimana fa, tramite i nostri amici Lia e Alberto Beltrami, abbiamo avuto l’onore di conoscere Inge e Franco Nones, il fondista di sci campione del mondo a Grenoble nel 1968, che mi ha detto: “I campionati invernali si vincono in estate”, alludendo alla preparazione necessaria per affrontare la montagna innevata.
In un’intervista (al settimanale “Credere”) lei ha detto: “… Eppure proprio questa nullità dell’uomo, questo suo essere niente, è rivelazione di Dio e il cinema dovrebbe avere l’umiltà di inchinarsi davanti alla pochezza umana”. Ci potrebbe spiegare cosa significa?
Ho avuto la presunzione di dire una frase del genere, mi lasci adesso l’eleganza di non spiegarla.
Secondo lei, quale film del passato rappresenterebbe meglio l’Italia di oggi?
Voler rappresentare l’Italia di oggi è già ridurre la visione, schiacciarla sul sociale. Bisogna raccontare l’uomo nel suo profondo, lì dove non c’è più nazione ma universo.
(Lorenzo Torrisi)