Mezzogiorno, Europa e il programma del nuovo governo

Al Mezzogiorno manca una proposta strategica. Essa va articolata il prima possibile, per tenere unita l’Italia e darle sviluppo

In un Paese normale il Mezzogiorno sarebbe la questione prioritaria da risolvere. Il primo punto programmatico su cui far nascere una maggioranza di governo. Questo non significa necessariamente annunciare piani Marshall o chissà quali altri trasferimenti enormi di risorse. Significa, semmai, avere una visione dello sviluppo del Paese che assegni al Sud una funzione strategica, e su questo progetto fare leva per politiche di riequilibrio territoriale in grado di dare impulso alla crescita dell’intera Italia.

In realtà questo è un momento “propizio” per riaprire un confronto vero, perché il Mezzogiorno è da tempo di fatto scomparso dalla politica nazionale. Scomparso non tanto nelle intenzioni di chi ha governato – anche se agli ultimi responsabili del dicastero preposto bisogna riconoscere gli sforzi profusi – ma certamente nell’attuazione, da parte di chi ha e ha avuto il potere esecutivo, di qualunque strategia ipotizzata o addirittura legiferata. Scomparso in assenza di concreti segnali di attenzione, di progetti realizzati, portati a termine e fruibili da tutta la popolazione.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: il prodotto pro capite del Sud è poco più del 56% di quello del Centro-Nord. La disoccupazione è tre volte superiore a quella del Nord, due volte a quella del Centro. I servizi pubblici, naturalmente, sono quantitativamente e qualitativamente inferiori a quelli del resto del Paese. Mancano strutture e infrastrutture portanti per la vita economica e sociale: dall’alta velocità, che per ora si è fermata a Salerno, agli asili nido, completamente assenti in tanti comuni. La strada per uscire dall’impasse va disegnata chiamando a raccolta tutte le forze in campo, dalla politica al mondo produttivo. La politica dovrebbe produrre uno sforzo per riappropriarsi di questioni così strategiche per il futuro del Paese. Ma anche noi imprenditori non vogliamo sottrarci al nostro ruolo di classe dirigente e intendiamo partecipare con proposte concrete allo sviluppo del territorio, ritenendo che l’interlocuzione con il mondo delle imprese sia indispensabile per disegnare un piano di sviluppo efficace e realizzabile.

Sul gap tra Nord e Sud del Paese pesa una narrazione che – pur non volendo nascondere i problemi esistenti – tende a confinarci nell’angolo di una classe dirigente dipinta come incapace o, peggio ancora, sperperatrice di risorse pubbliche. Una narrazione falsa, incompleta e strumentale che va cambiata se vogliamo veramente ripartire dal nostro territorio. In che modo? Raccontando le tante realtà che fanno onore a tanti meridionali, tra cui molti giovani, e generano, da sole, fiducia nel futuro.

Ma vi è una ragione di più che oggi va detta con particolare nettezza: il Nord senza il Sud è condannato ad un futuro di subalternità e comunque assai diverso da quanto ci si illude. Tutti i dati confermano che la stessa Lombardia ed il Veneto da sole non sono in grado di competere con gli altri paesi europei. Altro che autonomia differenziata. Il Nord deve riconsiderare radicalmente il proprio rapporto con il Sud e le ragioni di fondo che devono spingerlo a lavorare per tenere unito il Paese.

“I Giorni del Sud”, l’iniziativa che abbiamo presentato al Meeting e che terremo a novembre tra Napoli e Caserta, non saranno quindi il luogo dove recitare il “cahier de doléances”. È nostra intenzione farli diventare il luogo dove, raccogliendo le criticità del territorio meridionale, dare voce ai protagonisti. È il nostro modo concreto di aderire all’iniziativa per un’alleanza “valoriale” proposta dal prof. Giorgio Vittadini. Un’alleanza che abbia come  obiettivo quello di sostenere con successo una proposta utile ed innovativa rivolta a tutto il Paese: il Mezzogiorno come grande hub logistico al servizio del Sud e pertanto dell’Italia, protagonista assoluto nella propria vocazione mediterranea, al centro degli scambi nel mercato globale. Si comincerà dal basso e dal confronto con gli altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo. E si andrà avanti finché non definiremo una proposta strategica di lungo respiro in grado di trasformare il Mezzogiorno da periferia a centro dell’Europa, quella che guardiamo dal Mediterraneo.

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