Nessuno lo ammetterà mai, ma Biarritz è in questo momento la più importante località politica italiana.
La cittadina francese basca, lussuosa meta turistica affacciata sul golfo di Biscaglia, è la scena che Conte ha scelta per completare la sua rapida e camaleontica trasformazione da premier del governo populista grillino-leghista, esperimento alquanto temuto in Europa, a unico garante di una maggioranza 5 Stelle e Partito democratico.
Altro che Papeete! Conte ha scelto come scenario delle proprie esternazioni uno dei luoghi simbolo del jet-set internazionale.
E così in pieno G7 il nostro premier dimissionario ha pronunciato la fatidica frase che nessun leader del Movimento, a cominciare da Di Maio, aveva avuto finora il coraggio di pronunciare: l’alleanza con Salvini e la Lega è morta, per sempre.
Deve essere subito apparsa superata a Nicola Zingaretti la doppia condizione posta a Di Maio nell’ormai famoso incontro “vis à vis” (in onore di Biarritz oggi ci adegueremo usando qualche francesismo) con il leader pentastellato. Ma come, si sarà chiesto, l’unico che accetta la mia condizione di chiudere definitivamente con il forno leghista è lo stesso su cui ho messo il veto in nome della discontinuità?
In effetti il dubbio appare fondato. Anzi, a dirla tutta, il veto sul Conte-bis o, come suggerisce malignamente Travaglio, il Conti-2, non regge affatto.
Lo sanno benissimo i renziani che, gongolando, lasciano la matassa che hanno per bene ingarbugliata nelle mani di Zingaretti.
Ma lo sa molto bene anche il fondatore nonché garante del Movimento. Beppe Grillo è evidentemente quello che più degli altri sta spingendo per un alleanza con il Pd. Ed è quello che con maggior convinzione – certamente con più convinzione dello stesso Di Maio – fa del punto “Conte premier” la condizione irrinunciabile.
Vediamo però di capire bene perché.
Intanto “ça va sans dire” che Grillo conosce i suoi polli, quelli che ha allevato con tanta cura in questi anni, e sa benissimo che nessuno di loro ha dimostrato di valere neanche una zampa di Conte. L’avvocato foggiano scelto quasi per caso ma con un “pedigree” inattaccabile, interpreta al meglio l’idea di Grillo di come dovrebbe essere il “nuovo volto” del Movimento ora che si sta trasformando in partito di governo, e non ha intenzione di rinunciarvi.
Secondo motivo: sa che tra i militanti sta montando un certo malumore verso l’alleanza con il Pd, ma soprattutto verso un governo che si regge sul voto determinante dell’odiata coppia Renzi-Boschi. E sa che la trattativa – per essere credibile – deve essere dura e occorre subito segnare qualche punto a suo favore. Conte appare la soluzione perfetta per questa esigenza. Il veto posto da Zingaretti e le parole pesanti usate da Salvini hanno trasformato Conte in una bandiera che il Movimento non ammainerà mai.
Il terzo ed ultimo motivo: in un colpo solo Grillo riprende il controllo della sua creatura: ne detta la politica (era per allearsi con il Pd già dopo il 4 marzo, come ha spiegato chiaramente il sociologo De Masi sul Fatto Quotidiano di ieri), riduce il ruolo dei giovani leoni (Di Maio in testa, ma anche Di Battista), e dà un colpetto anche a quel saputello di Davide Casaleggio (che non vale neanche il dito mignolo del padre, e che ha dilapidato l’enorme patrimonio di un partito al 34%).
Dal canto suo Zingaretti nella difficile trattativa imposta dai suoi nemici interni e dai due pilastri filogovernativi della sua maggioranza (Franceschini e Orlando) si sta dimostrando un leader di qualità. Non ha mai perso la calma, ha tenuto a bada mastini non da poco e sta portando a casa un’operazione alquanto complessa, da lui non pienamente condivisa, ma inevitabile. Il mondo intero (e qui torniamo a Biarritz) spinge per questa soluzione e non può certo essere lui da solo a farla saltare. Eppure in questi mesi abbiamo avuto un’ampia dimostrazione di come i grillini concepiscono un’alleanza, tipo un continuo “tira e molla” fino a vedere se si spezza la corda. Ora toccherà al Pd – a corto di orgoglio – subire la loro arroganza.
In realtà Zingaretti sta usando la smania di protagonismo di Renzi, che ha praticamente demolito con un sol colpo la barriera da lui stesso eretta dei #senzadime, per riposizionare il Pd su una programma sostanzialmente di sinistra.
Se ne sono accorti in pochi – gli osservatori più avveduti – ma il furore con cui i renziani stanno sostenendo l’alleanza con i 5 Stelle ha praticamente reso inservibile la loro piattaforma politico-programmatica. Vedremo nella scelta della squadra e nella scrittura del programma di governo cosa resterà in piedi di quella cultura liberale e di apertura al mercato di cui il Pd era rimasto in qualche modo l’ultimo interprete.
La concessione ad Atlantia? L’acqua pubblica? Il jobs act o il reddito di cittadinanza? Solo per citare le questioni più calde.
Ma è a questo punto che sorge spontanea la domanda: vuoi vedere che Renzi voleva proprio questo? Cioè spingere a sinistra il Pd per poi occupare il campo riformista lasciato libero con il suo nuovo partito?
Non tarderemo molto a capire come stanno realmente le cose.