L’Argentina è un Paese nel quale è letteralmente impossibile annoiarsi: non si fa in tempo a vivere una situazione sorprendente che già ne appare un’altra. Chi scrive lo sperimenta dal 1984 e pure sabato sera, dopo la sorpresa dei risultati delle primarie dell’11 agosto, con la sonora sconfitta di Macri e un trionfo kirchnerista, ne ha avuto l’ennesima dimostrazione.
Mentre molti colleghi giornalisti già si sono inchinati al supposto nuovo potere che in teoria dovrebbe conquistare la presidenza nelle elezioni (quelle vere) del 27 ottobre con Alberto Fernandez del kirchnerista “Frente de Todos”, dopo aver sorretto il macrismo a spada tratta e a volte in maniera esagerata, ecco che due semplici messaggi, partoriti sulla rete dall’attore teatrale Luis Brandoni (sequestrato durante la dittatura militare negli anni ’70) e dal regista Juan Josè Campanella (Premio Oscar nel 2002 con il film “Il segreto dei suoi occhi”), che invitano la popolazione a manifestare per la sopravvivenza della Repubblica appoggiando Macri in un atto denominato A24, provocano una convocazione massiva tra le più grandi mai viste nel Paese.
Nella sola Buenos Aires oltre 300.000 persone hanno dapprima occupato la Plaza del Obelisco per poi trasferirsi nella storica Plaza de Mayo, davanti alla Casa Rosada e occupare tutta la Diagonal Norte per ragioni di spazio. Stessa musica non solo nelle principali città del Paese, ma pure nei piccoli centri, dove l’inno nazionale è risuonato in modo commovente, dimostrando che c’è una parte notevole dell’Argentina che non vuole compiere un ritorno al passato con un peronismo che, attraverso il kirchnerismo, cancellerebbe l’ideale repubblicano trasformandosi in un’autarchia, diretta anticamera di una dittatura: che è poi la radice del peronismo stesso.
La persona che più si è sorpresa del tutto è stato proprio il Presidente Macri, che è dovuto tornare in tutta fretta alla Casa Rosada e non ha avuto a disposizione un impianto audio per poter fare un discorso, delegandolo a una registrazione fatta sul suo cellulare e poi messa in rete. Il tutto è accaduto proprio mentre la delegazione del Fmi si era incontrata con il nuovo titolare del dicastero dell’Economia, Hernan Lacunza, e si vedrà anche con Alberto Fernandez e la sua squadra economica, che ha in progetto di ridiscutere, in caso di vittoria elettorale, l’accordo sottoscritto due anni fa da Macri.
La situazione che si verrebbe a sviluppare in Argentina preoccupa difatti i mercati internazionali anche perché il ritorno del peronismo, dopo un primo periodo di benessere artificiale e il relativo svuotamento delle casse dello Stato Babbo Natale, ha sempre portato il Paese in crisi drammatiche, come quella del 2001: ora la situazione delle riserve è buona, come pure quella bancaria (a differenza del fatidico dicembre 2001), fatto dovuto ai piani di sacrifici che Macri ha obbligatoriamente fatto pagare principalmente alla classe media che, come i lettori del Sussidiario già sanno, è il vero motore che fa andare avanti una nazione basata sull’assistenzialismo più bieco, che Macri non solo non ha provato a correggere, ma ha addirittura aumentato.
La testimonianza di quanto un potere politico decisamente antistorico possa trovare qui una rinascita (che non costituisce ormai una sorpresa bensì un refrain) la si è vista giovedì scorso, in una delle tante manifestazioni che quotidianamente bloccano Buenos Aires, organizzate da sindacati e organizzazioni sociali contro Macri. La gente è arrivata sulla Avenida 9 de Julio, luogo del raduno, su autobus scolastici o privati, spesso obbligata a farlo perché, in caso contrario, il sussidio che questa massa riceve dallo Stato viene bloccato dalle organizzazioni che lo gestiscono: un vero e proprio sfruttamento della povertà a livello politico, esatto contrario di quello che si è visto invece sabato scorso. Centinaia di migliaia di persone che hanno raggiunto i luoghi di incontro con mezzi propri, appartenenti in gran parte alla classe media (nonostante la stampa kirchnerista parli di un manipolo di ricchi) e che si sono espressi per un’Argentina al passo con i tempi e hanno capito che in soli 3 anni e mezzo (da quando cioè si è instaurato Macri alla Rosada) non sia possibile, investendo su infrastrutture necessarie (strade, ferrovie, reti fognarie, accesso a gas e luce) risolvere una crisi ereditata e che ha bisogno di almeno 7-8 anni, come minimo, per poter dare un futuro a una nazione di incommensurabili ricchezze. Bisogna costruire una Repubblica con uno Stato di diritto e soprattutto combattere la corruzione.
Proprio su questo punto Alberto Fernandez ha ribadito che, se raggiungerà il potere, giudicherà giudici e magistrati (nonché giornalisti) che hanno fatto scoppiare la Mani Pulite argentina: brutto segnale che il mondo ha capito benissimo, ma una buona parte dell’Argentina no, credendo ancora nel potere della bacchetta magica che ormai da 70 anni ha provocato solo disastri.