Ci sono dei punti che riteniamo irrinunciabili. Non si possono porre dei veti. Occorre una discontinuità nei nomi. Non è un problema di chi guiderà il Governo. Si è impuntato per fare il vice e avere il Viminale. Occorre una trattativa seria sui programmi, non è un problema di poltrone. Rottura sfiorata. Il dialogo riprende. Si attende un nuovo incontro su un documento comune. Ci sono ancora dei nodi da sciogliere. Eccetera.
Potremmo continuare a lungo nel descrivere alcuni dei titoli giornalistici che stanno caratterizzando queste ore che precedono le consultazioni dei maggiori partiti al Colle, previste per oggi. Ognuno di quei titoli nasconde forse una parte di verità, mentre l’esito della crisi continua ad apparire incerto anche agli addetti ai lavori.
Che questo succedersi di riunioni, incontri saltati, vertici notturni, note diramate da una parte e dall’altra avvenga oggi e ora ha, però, un vantaggio, almeno dal punto di vista istituzionale.
Nel Palazzo del Quirinale si svolge un segmento di consultazioni, ma a tutti è chiaro come la palla sia, calcisticamente, nel campo della politica. Un vantaggio non da poco, perché permette all’istituzione più direttamente coinvolta, vale a dire al Capo dello Stato, di marcare una distanza tra sé e i partiti.
Li aveva chiamati in causa nella dichiarazione del 22 agosto quando aveva concesso tempo (“mi è stato comunicato da parte di alcuni partiti politici che sono state avviate iniziative per un’intesa, in Parlamento, per un nuovo governo; e mi è stata avanzata la richiesta di avere il tempo di sviluppare questo confronto … anche da parte di altre forze politiche è stata espressa la possibilità di ulteriori verifiche”). E aveva sottolineato l’esigenza di “decisioni sollecite”.
Alla presidenza della Repubblica è evidentemente ben presente il ricordo di quindici mesi fa, quando in uno dei passaggi che caratterizzarono il tentativo – poi riuscito – di dare vita al Governo “giallo-verde”, il Capo dello Stato ricordava di aver “atteso i tempi da loro richiesti per giungere a un accordo di programma … pur consapevole che questo mi avrebbe attirato osservazioni critiche”.
Sempre in quella dichiarazione (27 maggio 2018) il Presidente della Repubblica diceva che “si è manifestata – com’è noto – una maggioranza parlamentare tra il Movimento Cinque Stelle e la Lega che, pur contrapposti alle elezioni, hanno raggiunto un’intesa, dopo un ampio lavoro programmatico”.
Non sembra cambiato molto, a parte il nome di uno dei partiti protagonisti. O forse qualcosa è cambiato, perché oggi l’intesa sarebbe tra partiti non soltanto contrapposti alle elezioni, ma anche contrapposti negli ultimi quattordici mesi, e per di più duramente.
Il Capo dello Stato lo sa bene, quando ha ribadito che “sono possibili soltanto governi che ottengano la fiducia del Parlamento, in base a valutazioni e accordi politici dei gruppi parlamentari su un programma per governare il Paese”. Ecco, che egli sia a svolgere il primo segmento di questo secondo giro di consultazioni mentre quelle forze politiche sono alla difficile ricerca di quell’intesa vale a distanziare, almeno per qualche ora, il piano della politica da quello delle istituzioni. Basterà, in caso di insuccesso, a tenere lontane le critiche?