“È una salita impervia, l’abbiamo intrapresa e stiamo camminando. Ma si può scalare, seppure con grande fatica”. Sintetizza così Alfredo Bazoli, deputato lombardo del Pd, l’inizio della nuova alleanza giallo-rossa, impegnata a trovare dei punti di sintesi su programmi e visioni non sempre coincidenti. Dal taglio dei parlamentari alle infrastrutture, dalla giustizia al lavoro, Dem e Cinquestelle dovranno sottoporre al presidente incaricato, Giuseppe Conte, una piattaforma su cui far incamminare il nuovo governo. Quanto ai protagonisti, Renzi “ha fatto una mossa azzeccata e ha dato una direzione di marcia”, mentre Zingaretti “è stato bravissimo a mantenere l’unità del partito e a condurre in porto la partita della crisi”.
Partiamo dalle parole di Conte dopo l’incontro con Mattarella: dal governo del “cambiamento” al governo delle “novità” e del “rilancio”. Dove si vedranno le novità rispetto a una stagione del cambiamento breve e travagliata?
Spero che la novità principale sia contrassegnata dalla ripresa di una strada, un po’ accantonata negli ultimi 14 mesi seppur battuta negli ultimi 70 anni, in cui l’Italia sia alla guida di un processo di maggiore integrazione europea. Sovranismo e muri che si alzano ci portano su una strada pericolosa.
Il vicesegretario dem, Paola De Micheli, ha però detto che si sta lavorando su alcune divergenze. Non le sembra che il governo giallo-rosso stia nascendo sugli stessi fragili e impervi presupposti del governo giallo-verde, cioè cercando di assemblare due forze che hanno sensibilità assai diverse su molti punti programmatici?
Siamo perfettamente consapevoli che la strada per un’intesa politica con il M5s è molto complicata, piena di contraddizioni da risolvere. Sappiamo però che il bivio cui eravamo di fronte era molto delicato: o elezioni in autunno inoltrato, con tutti i rischi legati alla stabilità dei conti finanziari del nostro Paese e alla prospettiva di consegnare l’Italia a spinte sovraniste e anti-europee, oppure la scelta difficile di trovare un’intesa con i Cinquestelle, con cui ci sono divergenze politiche e programmatiche non da poco. Sono divergenze che non si possono appianare da un giorno all’altro. Mi auguro, nell’interesse del Paese, che si possa giungere a un accordo.
Oltre a un nuovo dialogo con l’Europa, dove intravvede altri punti in comune con il M5s?
Ci sono due o tre temi in cui sarà più agevole trovare una convergenza: lo sviluppo sostenibile; l’attenzione ai temi sociali per combattere le grandi diseguaglianze create dalla lunga crisi iniziata nel 2008; l’agenda del lavoro per incentivare l’occupazione di qualità e disincentivare il precariato.
Ma proprio su questi temi si nascondono le insidie. Lo sviluppo sostenibile, per esempio, è buona cosa, ma l’Italia ha disperato bisogno di infrastrutture. Vedremo ancora i balletti dell’ultimo anno e mezzo su Tav e grandi opere?
La Tav ormai è stata sdoganata e indietro certamente non si torna. Sviluppo sostenibile vuol dire economia attenta ai beni ambientali senza mettere in discussione gli investimenti pubblici. Il presidente Conte sa bene che sono uno dei driver della crescita. Anche sulle infrastrutture, sulle grandi questioni di fondo, penso si può lavorare in maniera condivisa, sebbene le divergenze non mancheranno.
Quanto ai temi sociali, il M5s ha sostituito il Reddito di inclusione con il Reddito di cittadinanza, misura sulla quale non vuole transigere. Come trovare un punto d’incontro?
Mi auguro che il M5s sia disponibile a introdurre quelle correzioni al Rdc che possano essere utili a migliorare il provvedimento. Reddito di cittadinanza e Rei, in fondo, hanno lo stesso obiettivo: contrastare in primo luogo la povertà assoluta, che è dilagata negli ultimi dieci anni. Il Rei, oltre tutto, era stato messo in piedi assieme alle organizzazioni del terzo settore che si occupano della materia e che sono confluite nell’Alleanza contro la povertà, quindi pensiamo di aver fatto un ottimo lavoro e non abbiamo condiviso la scelta del M5s di abbandonare quello strumento. Confido che si possa, insieme, migliorare il Rdc per eliminare alcune inadeguatezze emerse in questa prima fase di applicazione.
Veniamo al mercato del lavoro. Il M5s ha dichiaratamente voluto smontare l’impianto del Jobs act, varando anche il Decreto dignità. Come conciliare queste due diverse visioni?
Nessuno di noi aveva la presunzione di aver elaborato con il Jobs act una norma perfetta. Credo che un tagliando fosse necessario, anche perché il Jobs act aveva una parte non ancora attuata. Poi con il decreto dignità del precedente governo si è creata qualche difficoltà alle aziende con la riduzione dei contratti a termine. Mettendosi intorno a un tavolo, siccome l’obiettivo condiviso è creare occupazione di qualità, non vedo ostacoli insormontabili.
Anche la riforma della giustizia, a partire dal nodo del Csm, è materia altamente infiammabile, non crede?
È un tema molto delicato, su cui sarà necessario uno sforzo non da poco. Il nostro approccio ai temi della giustizia, molto più attento alle garanzie, anche se con qualche deragliamento nel passato, è molto diverso da quello dei Cinquestelle, che hanno un atteggiamento più “giustizialista”. Ho partecipato al tavolo dem sulla giustizia per individuare i punti da sottoporre al confronto con i Cinquestelle e sono proposte che hanno molto a cuore le garanzie del cittadino.
Per Di Maio il taglio dei parlamentari è il punto irrinunciabile. Il Pd ha votato contro. E ora?
Abbiamo sì votato contro, ma con una motivazione molto chiara: un taglio tout court non risolve i problemi dell’assetto politico e istituzionale del nostro Paese, perché si limita a fare un risparmio sulla rappresentanza, ed è sbagliato. Noi però non siamo contrari alla misura in sé, ma chiediamo con forza al M5s di accompagnare il taglio dei parlamentari a un’adeguata riforma del sistema istituzionale nel suo complesso e con una riforma anche della legge elettorale. Quella attuale, con il taglio dei parlamentari previsto, non garantisce la rappresentanza, in particolare delle minoranze e nei territori. La legge elettorale è per noi un tema ineludibile.
Conte ha fatto riferimento al Sud, auspicando misure e interventi per rilanciare un “Mezzogiorno rigoglioso”. E il Nord? Pd e M5s lo considerano un’area del Paese preclusa, visti anche i risultati elettorali degli ultimi mesi?
È un tema decisivo. Credo che se questa alleanza dimenticasse le ragioni e le istanze del Nord sarebbe destinata a soccombere e a durare poco. Non possiamo permettercelo. Il Nord rappresenta la punta più avanzata, economica e sociale, del Paese. Anche se in questo momento Pd e Cinquestelle non sono la maggioranza nelle regioni del Nord, è fondamentale non perdere di vista e trovare delle risposte su temi come l’autonomia, le libertà economiche, la pressione fiscale, lo sviluppo.
Dimentica la sicurezza…
È un tema che va trattato in maniera molto diversa da come è stato sbandierato e usato in maniera spregiudicata da Salvini.
Un’ultima domanda. Secondo lei, in questa crisi il vero vincitore è Renzi e Zingaretti ha dovuto un po’ subire la sua vittoria?
Io credo abbia vinto il Partito democratico. In questo passaggio delicatissimo Renzi ha dato il suo contributo molto importante, che ho apprezzato, perché ha fatto una mossa azzeccata e ha dato una direzione di marcia.
E Zingaretti?
È stato bravissimo a mantenere l’unità del partito e a condurre in porto la partita della crisi.
(Marco Biscella)