Il governo giallorosso ha superato anche l’ultimo ostacolo. Ieri in conferenza stampa Di Maio ha celebrato le magnifiche sorti di Rousseau e annunciato che l’accordo politico M5s-Pd è passato con il 79,3% dei sì. Oltre a ribadire, per l’ennesima volta, l’imminente taglio dei parlamentari. Continua la riflessione di Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, sull’attuale fase politica.
Tutte le considerazioni di fondo che facevamo ieri restano valide, direi. Oggi cosa si sentirebbe di aggiungere?
Che la formazione di un governo è dipesa per 75 minuti dall’annuncio dell’esito di un sondaggio gestito da una società privata; che il partito che per 18 mesi si è fatto paladino delle democrazia rappresentativa, e che in questi giorni ha ricordato a tutti le regole della democrazia parlamentare, voterà a breve la riduzione dei parlamentari pur di tornare al governo come ha ricordato Di Maio in conferenza stampa; e che ormai la Lega, pur di mettere in luce quel che è successo, cita Mortati e la presunzione di consonanza tra Parlamento e corpo elettorale.
Vuole dire che non è mai troppo tardi?
Purtroppo, invece, è roba che è morta e sepolta da quando Mattarella ha annunciato in televisione l’esistenza di una pregiudiziale europea, per cui non può fare il ministro chi, nella sua vita precedente, abbia mai criticato l’Unione Europea. Davvero ha ragione Mario Esposito a dire che ormai l’Ue fa parte della forma di governo italiana. È che se ne sono accorti in pochi, anche se è sotto gli occhi di tutti. Bisognerà, prima o poi, fare una riflessione sul ruolo della Presidenza della Repubblica, e su cosa è diventata.
Se la sente di fare una previsione sulla durata del governo che giurerà giovedì?
Guardi, la vera ragion d’essere di questo governo è anestetizzare per un po’ la situazione italiana, dopo le preoccupazioni che l’Italia aveva destato in una fase pessima per gli equilibri politici del continente. Altro che Iva da stornare e riduzione del cuneo fiscale da realizzare. Quella è roba, diciamo così, per il mercato elettorale interno.
E invece?
Finché si potrà, si cercherà di puntellare dall’esterno un governo che serve a tenere a bada una provincia dell’Impero dove covano germi di ribellione. E si sa che il partito delle molte Legion d’Onore – e cioè il Pd – è sempre disponibile per queste operazioni.
Gli dà una mano M5s, che adesso si è scoperto decisamente europeista, dopo aver consentito il nascere della Commissione von der Leyen.
Chissà perché non hanno chiesto un parere a Rousseau anche su questo, visto che è stato il vero passaggio di rottura… D’altronde Lega e 5 Stelle avevano già fatto una campagna elettorale ad insultarsi a vicenda mentre stavano al governo: era normale che questo dovesse avvenire. E non si è capito che Salvini le elezioni le aveva vinte in Italia, ma in Europa le aveva perse. E anche male. Era solo questione di tempo perché si spaccasse l’accordo.
Il nuovo accordo M5s-Pd quanto durerà?
La durata di questo governo dipenderà dall’esterno, come è avvenuto per il precedente, che è caduto sulla politica estera. Kissinger vedeva nella dimensione imperiale la forma politica naturale per l’Europa. I fatti gli stanno dando ragione.
Perché un impero?
Perché per un impero ad importare è il centro, mentre i confini sono secondari: possono espandersi o contrarsi, ma l’importante è che tenga il centro. Lo Stato si definisce sulla base dei suoi confini e sulla loro difesa. È rigido. Se cadono i confini cade lo Stato e nasce qualcosa di diverso. Mi pare che questo, da solo, spieghi tutto: anche le questioni dell’immigrazione. La grande ricerca della politica internazionale del dopoguerra è stata quella di trovare, per l’Europa, un centro che semplificasse i rapporti di potere internazionali.
E questo centro è l’Unione Europea.
L’Unione Europea non assolve in pieno a questo compito, però può servire. Diciamo che è un impero in gestazione e noi, di questo impero, siamo una provincia complicata, ricca, e politicamente debole. Da gestire perché non crei problemi al centro. Poi faccia un po’ quello che vuole, purché paghi il suo tributo annuale. Che si chiama legge finanziaria.
A proposito di M5s. Si definisce post-ideologico e per questo rivendica di poter passare tranquillamente dalla Lega al Pd: contano i programmi, le cose da fare, dicono i 5 Stelle. In realtà servono anche le persone capaci di farle.
Secondo me gli ideatori del format elettorale che va sotto il nome di 5 Stelle non si sono resi conto che l’“avvocato del popolo”, che era stato reclutato come un “professionista a contratto”, gli ha sfilato il giocattolo. E il momento in cui questo è avvenuto è stato al momento del voto sulla presidenza della Commissione europea. È chiaro che i 5 Stelle cercavano una legittimazione a livello europeo dopo essere stati tenuti fuori da tutto fin dal loro ingresso a Strasburgo. E la loro occasione è stata quella di fornire 14 voti ad una Commissione che è entrata in carica per 9 voti.
A quel punto la crisi d’agosto ha prodotto un’accelerazione.
Certo. E Conte, che aveva già lavorato con un pezzo di governo che rispondeva al Quirinale per accreditarsi in Europa, si è trovato investito di un ruolo di statista che gli è stato concesso in tutta fretta per evitare i problemi che avrebbe potuto dare una crisi italiana in una fase in cui Brexit, recessione tedesca e guerra commerciale sono tutti punti interrogativi.
Adesso Conte è più forte o più debole?
Conte riceverà la fiducia da un gruppo parlamentare, il Pd, che non risponde alla sua segreteria, e da un altro gruppo parlamentare che fino a una settimana fa vedeva in Di Maio il leader politico e in Conte un mediatore tecnico. Il punto è che l’investitura rapidissima e simultanea, e su tutti i media mondiali, di Conte da parte di Merkel, Macron, Trump, Juncker, Bill Gates, Oettinger, Moscovici, Elvis Presley e Walt Disney pone un problema allo stesso Movimento. Adesso Conte a chi risponde?
Secondo lei?
Bisogna domandarselo. Risponde al Pd, verso il quale ha rivolto in questi giorni parole di vecchio simpatizzante? Alla Casaleggio e Associati? A chi, con immenso candore, l’ha definito il “nuovo Tsipras” (Jean-Claude Juncker, ndr) ed eletto al ruolo di statista mondiale da “burattino” che era? O risponde fondamentalmente a se stesso, come ogni professionista che si rispetti?
Possiamo dire che in fondo tutta la questione relativa alla posizione di vicepremier rivendicata da Di Maio si giocava su questo aspetto?
Certo. Se Di Maio fosse rientrato a Palazzo Chigi come vicepremier avrebbe avuto la possibilità di controllare il suo ex “professionista a contratto” e ritagliare un ruolo a quel che resta del Movimento. Se va a fare il ministro e basta, tutto si fa più confuso e provvisorio.
Chissà cosa direbbe Kissinger di questa situazione.
Direbbe la verità. E cioè che in fondo Casaleggio, Conte e via dicendo sono dei parvenu dell’ordine mondiale. E che Conte sia stato, per il momento, cooptato per tenere buono un paese fastidioso non vuol dire che lo sia anche il gruppo formatosi attorno alla Casaleggio e Associati, con i suoi progetti di democrazia cibernetica fatta in casa con il forno a legna.
Ieri ha parlato di “occasionalismo politico” di Lega e Pd. Che cosa intende?
Che, ragionando a breve termine, la Lega ha sostenuto tutti i passaggi parlamentari su riduzione delle poltrone e democrazia diretta credendo, in cambio, di portare a casa l’autonomia differenziata. E adesso si trova con un palmo di naso. Il Pd, per convenienza, ha tuonato e combattuto per la democrazia parlamentare. Adesso voterà il taglio dei parlamentari senza portare a casa niente, se non una promessa di riforma della legge elettorale.
La riforma del taglio dei parlamentari è stato uno degli argomenti spesi nella prima fase della crisi per allontanare le elezioni. A ragione o a torto?
Mi limito a ricordare che nel 2001, ai tempi di quella riforma del Titolo V che avrebbe dovuto introdurre il “federalismo regionalista” ed ha definitivamente affossato le Regioni, l’ultima votazione di un Parlamento in scadenza si è avuta a fine febbraio 2001, il decreto di scioglimento delle Camere da parte del Presidente della Repubblica si è avuto l’8 marzo 2001, a primavera si sono fatte le elezioni politiche, e a novembre 2001 si è votato per confermare quella stessa bella riforma approvata in extremis da un Parlamento prossimo allo scioglimento. I parlamentari uscenti hanno presentato le richieste di referendum come era giusto che fosse ai sensi dell’articolo 138 Cost. e, al massimo, si è fatta questione della sospensione o meno dei termini per la presentazione delle firme.
Insomma si era già fatto non molto tempo fa e si sarebbe potuto fare ancora.
Strano che nessuno l’abbia ricordato. Molti di coloro che sono stati protagonisti di quella vicenda sono ancora in Parlamento. E senz’altro avrebbero dovuto ricordarselo molti opinionisti smemorati. È evidente che serviva un argomento tecnico per allontanare il rischio elezioni. Peccato fosse un argomento ridicolo, anche se venduto dall’alto.
Ci dicono che se si tagliano i parlamentari occorre una nuova legge elettorale. Perché?
Perché si dice che aumenterebbe il rapporto tra rappresentanti e rappresentati e si avrebbe un implicito effetto maggioritario. Ma anche qui ci troviamo di fronte allo stesso problema: chi ha parlato, dai tempi di Tangentopoli, di “vocazione maggioritaria” adesso riscopre quanto bello e democratico sia il proporzionale puro, magari con qualche accorgimento da inventare.
Appunto, si parla di un proporzionale puro. Porterebbe un’ulteriore frammentazione del sistema politico e sarebbe perfetto per escludere qualcuno da un’eventuale vittoria elettorale. Secondo lei che cosa bisognerebbe fare?
Penso che sarebbe anche ora di piantarla con la manomissione della legislazione elettorale in prossimità delle elezioni nel tentativo di precostituirsi una maggioranza sulla base dei sondaggi o, il che è lo stesso, per impedire ad altri di governare avvelenando i pozzi. È divertente contare sulle dita di una mano le leggi elettorali che abbiamo avuto tra Mattarellum, Porcellum, Italicum, sistemi transitori successivi agli annullamenti della Corte, e infine Rosatellum. Il quale però adesso sarebbe da modificare perché – pur essendo un proporzionale corretto – diventerebbe d’un tratto troppo maggioritario. Ma le sembra serio dar retta a queste cose? (2 – fine)
(Federico Ferraù)