Il governo Conte-2 è nato: 21 i ministri, tra cui sette donne, con 10 dicasteri affidati al M5s, 9 al Pd, uno a Leu e un tecnico agli Interni. Oggi, alle 10, il giuramento al Quirinale per un esecutivo “ambizioso e coraggioso” – sono parole del neo ministro degli Esteri, Luigi Di Maio –, che secondo il premier Giuseppe Conte dedicherà ogni “energia per un Paese migliore” e che per il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, “cambierà l’Italia”, imprimendo una svolta radicale e una forte discontinuità con il governo giallo-verde. Ma Stefano Folli, editorialista di Repubblica, non la vede affatto così: “È un governo abbastanza incolore, un governo ordinario, con molti ministri che vengono dalle seconde file. Un governo che nella sua composizione non ha quello slancio che dovrebbe avere visto che si è dato un impegno notevole: superare una situazione difficile, dimostrando, una volta messo nell’angolo il partito sovranista, di poter portare a risultati positivi, a una ripresa dello sviluppo. Si è fatta tanta polemica sulla crescita zero e questo è un governo che dovrebbe spingere l’Italia fuori dalle secche. Ma, a mio avviso, la compagine del Conte-2 non è certo entusiasmante”.
Balza subito agli occhi il fatto che tutti i big del Pd siano rimasti fuori. Che cosa significa? Che i dem non ci credono fino in fondo e si tengono aperta una via di fuga?
Il Pd dà proprio l’idea, al di là della retorica, che non voglia impegnarsi fino in fondo in questa impresa. Quindi si tiene aperta una porta per una via d’uscita, come se non fosse affatto sicuro che il governo abbia lunga vita.
In nome della discontinuità sbandierata, sono spariti quei ministri – come Tria o Moavero – molto graditi al Quirinale. Gli uomini del Colle dove sono? Qualcuno non li ha voluti?
Questo è un governo fondato su un accordo politico preciso, mentre l’anno scorso, in presenza di quella finzione che era il Contratto tra M5s e Lega, il presidente della Repubblica aveva più agio a indicare alcune persone nei ministeri chiave, così che fossero in grado di rappresentare al meglio le istituzioni. Adesso è più difficile, perché dentro un accordo politico sono previsti anche i nomi dei ministri politici, e quasi tutti lo sono, tranne il titolare dell’Interno.
Come valuta la scelta di un tecnico solo, appunto agli Interni?
Qui ci vedo la mano del presidente della Repubblica. È un po’ come se, dopo l’overdose di Salvini sul piano della pressione politica sul ministero, si sia scelto un prefetto proprio per rimarcare il ritorno a una maggiore neutralità rispetto alla contesa politica.
La scelta di Luciana Lamorgese può anche significare che si vuole “strappare” con quelle che sono state le misure adottate da Salvini su sicurezza e immigrazione, ma senza troppo clamore?
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Il nuovo governo verrà ovviamente valutato, oltre che sui nomi, anche sulle cose da fare, e lo vedremo presto all’opera. Ma non le sembra che ai nastri di partenza abbia un’impostazione molto statalista, con un profilo poco attento al Nord del Paese? È un’assenza che può trasformarsi in zavorra?
Questa zavorra c’è, senza dubbio. È un governo che non ha certo un’anima “nordista”, anche perché Pd e Cinquestelle sono due partiti che al Nord non esistono. Questa è una grossa sfida: non credo che il governo si possa accontentare di rappresentare solo il Centro e il Sud. L’Italia non si governa senza il Nord. E non avendo rappresentanza politica diretta di esponenti con una storia legata al mondo produttivo ed economico del Nord, occorrerà agire con le scelte, con le politiche. E qui noto una certa tendenza allo statalismo: è un governo che ostenta una forte componente di sinistra, visto che il M5s è un partito fortemente statalista e il Pd non brilla certo per vocazione liberale in economia…
Questa tendenza statalista la si vedrà anche sulle scelte economiche, a partire dal primo scoglio da affrontare, cioè la Legge di bilancio 2020?
La tendenza è quella, nella speranza che l’Europa la assecondi, un’Europa stanca dell’austerità e che, in virtù del fatto che la Germania è al limite della recessione, accetterà di consentire politiche espansive. Per il momento è una speranza, però questa è la narrazione, ed è un’altra delle scommesse su cui nasce il Conte-2.
Christine Lagarde ha detto che la scelta di Gualtieri al Mef è “un bene per l’Italia e per la Ue”. Ha dunque ragione Salvini a dire che questo governo nasce sotto dettatura della Ue, di Macron e della Merkel?
No. Gualtieri è una figura poco conosciuta al grande pubblico, ma molto stimato negli ambienti internazionali. Ora deve dimostrare di saper fare il ministro dell’Economia, però il fatto che abbia questa rete di relazioni non è negativo, tutt’altro. E l’endorsement iniziale della Lagarde penso sia una cortesia istituzionale. Non andrei a cercare retroscena particolari.
La scelta di Fraccaro nel delicatissimo e nevralgico ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio va letta come una rivincita di Di Maio su Conte?
Sì, se è vero che un braccio di ferro c’è stato. Fraccaro non è la scelta che Conte aveva in mente e nel gioco delle caselle Di Maio ha fatto pesare il fatto che non è più vicepremier. Certo, non esce vincente da questa partita, però la sua sconfitta è stata un po’ circoscritta, da un lato, con la nomina al ministero degli Esteri, che per Di Maio e per la sua storia personale e politica è davvero importante, e dall’altro proprio con il fatto di avere un amico come sottosegretario alla presidenza. Non è cosa da poco.
La bozza del programma di governo giallo-rosso è molto generica e la si potrà valutare appieno solo quando saranno inseriti numeri e provvedimenti. Ma lei dove intravede i primi scogli alla navigazione del Conte-2?
Ce ne sono di tutti i generi, a partire dalla politica economica. Essendo però un governo che spera di trovare in Europa non solo la sua legittimità, ma anche un po’ di risorse che magari sarebbero state negate al governo precedente, spera cammin facendo di riuscire a superare gli ostacoli attraverso una maggiore benevolenza di Bruxelles, a partire dall’Iva per proseguire con tutte le altre clausole che pongono limiti di spesa piuttosto stringenti.
E altri ostacoli oltre all’economia?
Ci sono i grandi temi: le infrastrutture, l’Ilva, l’Alitalia… Piuttosto sarà importante vedere cosa succederà dopo il taglio dei parlamentari: lì c’è da rivedere una cornice costituzionale e c’è da mettere mano alla legge elettorale. Detto così sembra semplice, farla è tutta un’altra cosa.
Prevede screzi molto aspri?
Sì, ma se il governo andrà in crisi entro qualche mese, non sarà per insormontabili problemi di programma, che alla fine non sono mai assolutamente insormontabili, bensì accadrà se e quando l’interesse politico dei due partiti inizierà a divergere.
Quale interesse?
Oggi sembra che sia convergente, perché M5s e Pd hanno interesse a rinviare le elezioni. Non è detto, però, che per un motivo o per l’altro, per cause che oggi non possiamo prevedere, questa possa essere la situazione in cui si troverà fra sette-otto mesi.
Un’ultima curiosità: dopo l’annuncio della lista dei ministri letta da Conte, Mattarella ha pronunciato davanti ai microfoni poche e scarne parole, rimandando al giudizio del Parlamento. Ma sul viso si notava un bel sorriso. Come lo interpreta?
Semplicemente come la soddisfazione di essersi tolto un gran peso dallo stomaco.
(Marco Biscella)