Georges Simenon scrive nel carteggio con André Gide, “Caro Maestro, Caro Simenon”: “…E dall’età di diciotto anni, ho capito che avrei voluto essere un giorno un romanziere in tutto e per tutto, e ho capito anche che l’opera di un romanziere non può cominciare prima dei quarant’anni come minimo”. “Anzitutto il mestiere. Impastare il gesso. Mi sono dato dieci anni per questo”. “Il romanzo può cominciare perché parto da un minimo d’azione. Ma è difficile restare immersi per tutto il tempo della durata dell’azione”. E per fortuna che scriveva i suoi Maigret in soli tre giorni!
E siamo al secondo film (Maigret e il caso Saint-Fiacre) con la regia di Jean Dellanoy e con Jean Gabin protagonista. Il 5 maggio 2019 è ritornato nelle sale italiane restaurato. La pellicola si discosta dal libro, sicuramente più intenso ed efficace; il finale è diverso, ma come il romanzo di Simenon anche il film è un gioiellino.
Al Quai des Orfrèves arriva una richiesta d’aiuto a Maigret, la contessa di St. Fiacre ha ricevuto una lettera anonima: “L’ora del castigo è suonata, morirai durante la funzione delle Ceneri”. Maigret è nato a Saint Fiacre e vi ritorna malinconicamente. Alle sei del mattino è in chiesa, la messa termina, ma l’anziana contessa non si alza, è morta. Maigret si stupisce di non essersi accorto di nulla, una sconfitta per lui, ma pazientemente e acutamente ripercorre tutti i passi e comincia a guardare quello che gli sta intorno e a conoscere le persone che gravitano nel paese e nel castello della morta.
C’è uno scaltro segretario che vende i quadri e i mobili della contessa per far quadrare i conti della decadenza nobiliare; il custode del castello con figlio che lavora in banca; lo scarso dottore del paese, compagno di scuola di Maigret; l’autista e il cameriere; il campanaro tontolone, anch’egli compagno alle scuole elementari del commissario, e il molle curato. Aggiungiamoci l’arrivo del figlio guascone della donna che non fa altro che sperperare franchi e lasciare in giro assegni a vuoto e che aveva già molto fatto soffrire la madre in vita.
La morta ha avuto un attacco cardiaco, Maigret riannodando i fatti accaduti coglie nel segno e acutamente arriva a pensare che un’emozione ha ucciso la donna. Nel breviario della nobildonna trova un falso articolo di giornale che annuncia il suicidio del figlio. Maigret è sarcastico e ironico e tratta con forza i personaggi sopra nominati e, quando è certo di aver annusato il colpevole, convoca tutti un po’ come Poirot alzando i veli delle miserie della maggior parte di loro e incastra il colpevole.
Parallelamente consiglio di leggere anche il libro, qualche critico ha dato un giudizio negativo sul film, accampando il fatto che Gabin/Maigret fosse troppo vecchio rispetto alla contessa che ventenne l’aveva conosciuto ancora ragazzino.
Tre tocchi di Dellanoy:
– Il film parte con un Maigret seduto di spalle in treno che guarda la campagna dal finestrino e la lettera anonima. Poi, sempre di spalle, lo vediamo scendere dal treno finché non entra nel caffè della stazione dove lo aspetta la contessa e finalmente lo vediamo in volto.
– Non si toglie mai il cappotto se non quando riunisce tutte le persone che girano intorno al castello per l’atto finale.
– Alla fine del film Gabin è in primo piano (forse il secondo o terzo di tutta la pellicola), è mesto e triste e una voce fuori campo domanda: “A che cosa sta pensando Maigret?”. Ma come nei vari romanzi di Simenon con lui protagonista non vi è risposta e il film termina.