Finalmente non sono più isolato nella critica alla politica monetaria fin qui svolta dalla Bce. Marcello Minenna, nell’articolo sul Sole 24 Ore del 1° settembre, dà notizia che proprio le banche centrali delle principali aree valutarie sono quasi tutte all’opera per intervenire al meglio quest’autunno.
Nel sistema europeo, gli acquisti di titoli di Stato da parte del Sebc (Bce e banche centrali nazionali – Bcn – che adottano l’euro) hanno rappresentato la quasi totalità dei titoli stessi disponibili sul mercato (in proporzioni variabili dall’80 al 95%, a seconda degli Stati), ripartiti inizialmente in proporzione alle autorizzazioni date dalla Bce alla creazione di moneta per le singole banche nazionali (8% e 92%), poi leggermente corrette (rispettivamente 10% e 90%), ma la correzione si è rivelata del tutto inefficace.
Inoltre, la settorializzazione degli acquisti in base alle quote di partecipazione al capitale della Bce da parte delle banche centrali nazionali (capital key) non faceva che acuire i danni alla stabilità del sistema euro. Infatti, ad esempio, la Germania si vedeva acquistare il 25,6% di tutti i fondi monetari creati, la Francia il 20,1%, per un totale del 45,7%, mentre l’Italia solo il 17,5%. Ciò provocava un trasferimento finanziario abnorme a favore dei primi due Paesi, causandovi pure il rovesciamento del segno da positivo a negativo del tasso di interesse, soprattutto a causa della scarsità relativa dei titoli da acquistare; per l’Italia si è registrata solo una riduzione di tasso e quindi un deflusso di denaro rispetto ai Paesi già avvantaggiati dalla pre-esistente politica di emissione monetaria a debito.
È vero che le politiche di Quantitative easing sono state riviste in corso d’opera, ma le correzioni sono state modeste, non coraggiose, e soprattutto non hanno compensato le deviazioni causate dallo stesso euro, in quanto moneta emessa solo in prestito e quindi implicitamente comportante usura a svantaggio degli Stati maggiormente indebitati o, addirittura, diventando denaro straniero (Grecia e Italia).
Comunque rilevo con soddisfazione che il dibattito sulle criticità è finalmente iniziato. Infatti, oltre al criterio del “capital key”, si è discusso:
• sulla differenziazione degli acquisti di ciascuna banca centrale con la vita residua dei titoli detenuti in portafoglio;
• della scarsità sul mercato dei titoli di Stato rispetto alla quantità da acquistare (ripeto che questa è particolarmente elevata in Germania e in altri Stati minori);
• che il vantaggio iniziale dello Stato tedesco di far affluire notevoli capitali dal Sebc al bilancio dello Stato ha fatto emergere i danni causati al sistema tedesco stesso, oltre che all’intera Eurozona;
• la rilevante contraddizione dell’esistenza di “spread” nei rendimenti tra i titoli appartenenti alla stessa area valutaria.
Le aree di intervento individuate sono:
• il graduale abbandono del “capital key”, sostituendolo con un criterio di maggiori acquisti del Sebc in relazione al livello dello spread;
• l’attribuzione alle Bcn di margini di manovra correlati allo spread e al rapporto tra debito pubblico e Pil, al fine di aumentare la vita media residua dei titoli in portafoglio;
• il subentro della Bce negli acquisti delle Bcn per permettere a queste di fare nuovi acquisti o di rifinanziare i titoli in scadenza. Ciò consentirebbe alla Bce di sostituire le Bcn nei rischi verso i singoli Stati appartenenti alla stessa area valutaria. Questo punto viene visto erroneamente come possibile risanamento e normalizzazione del saldo positivo di mille miliardi della Bundesbank nel sistema Target 2 e i corrispondenti deficit ripartiti tra Banca d’Italia e Banca di Spagna. L’aspettativa sarebbe di azzerare le differenze tra i tassi degli Stati. In proposito, Minenna condivide la citazione del governatore della Banca centrale finlandese, Olli Rehn, membro del consiglio della Bce, che quando si lavora con i mercati finanziari è meglio presentare un pacchetto politico significativo e di grande impatto a settembre, piuttosto che tentennare.
Sono contento, altresì, che la presidente designata alla Bce, Christine Lagarde, abbia lanciato un invito ai politici affermando che “molti paesi hanno ancora margini fiscali perché sono entro lo 0,5% di disavanzo”. Ciò vale soprattutto per la Germania, che dovrebbe rilanciare l’economia con una politica di spesa pubblica, perché la Bce non ha più veri margini di intervento largamente condivisi, in presenza di un’inflazione troppo bassa; ciò imporrebbe la partecipazione di tutte le Bcn a fianco della Bce.
Inoltre la Germania dovrebbe smettere di lanciare strali contro i tassi bassi, con i quali si è evitata la deflazione e la perdita di posti di lavoro, registrando invece un aumento dell’occupazione.
Nonostante il plauso, però, occorre molto più coraggio. Bisognerebbe far capire alla Germania di essere la causa preminente del cattivo funzionamento dell’economia di alcuni Paesi europei, perché non si può pretendere solo dagli Stati debitori di contrarre il proprio debito. Infatti, come più volte ho spiegato, lo Stato creditore sottrae a quello debitore il denaro corrispondente agli interessi sul debito, che può essere rimpiazzato con la riduzione delle retribuzioni, degli occupati o della spesa sociale. Quest’ultima, tuttavia, viene mantenuta elevata dalle politiche di accoglienza.
Alternativa non duratura sarebbe la svendita dei beni nazionali; ma anche la riduzione delle retribuzioni e dell’occupazione non possono durare, perché si innesta una spirale negativa sulle vendite anche nei Paesi creditori. Sono, perciò, proprio questi ultimi che devono aumentare il livello di spesa, portandolo a un valore tendenziale superiore al surplus accumulato, indirizzandolo proprio verso i propri debitori dell’area.
Purtroppo i creditori rimangono accecati dai facili guadagni legati all’utilizzo di un sistema monetario basato sull’emissione del denaro attraverso la sola concessione dei prestiti. In Italia lo spirito della legge bancaria del 1936 aveva creato i correttivi necessari, ma il governatore Ciampi si limitò a pretenderne solo l’adempimento formale, in linea con i nuovi orientamenti giurisprudenziali.
Un altro passo necessario è quello di sospendere qualunque acquisto di titoli sul mercato qualora ci si trovi in presenza di tassi negativi. Si potrebbe fare un’eccezione per la Grecia e l’Italia, al fine di consentire loro di recuperare almeno in parte gli oneri di cui sono state troppo gravate. Il recupero andrebbe a vantaggio del benessere complessivo e, contrariamente a quello che si può pensare, massimamente ai Paesi ora creditori.
Non ho esaurito le indispensabili linee di intervento, ma se già si seguissero quelle esplicitate potremmo di nuovo applaudire e brindare all’Europa.