La montagna ha partorito il topolino. Ma questa volta, un topolino che dice molte cose. Il Mickey Mouse di tutte le delusioni, ammesso che siano realmente tali. Come anticipavo l’altro giorno, la decisione della Fed di mercoledì sera rappresentava molto più del rituale appuntamento di calibratura della politica monetaria: era un chiaro segnale politico. E tale è stato: l’America sta affilando le armi e, statene certi, non lesinerà colpi. Anche bassi. Diretti e attraverso i suoi cavalli di Troia, ovunque nel mondo: in Europa, Emmanuel Macron. E non fatevi ingannare dall’ennesimo tweet di Donald Trump in cui, formalmente, si accusa di ancora di fallimento Jerome Powell: i due, ormai, sono un rodato duo, specialista nel cliché hollywoodiano del gioco di ruolo. Il poliziotto buono e quello cattivo. I quali, però, lavorano per il medesimo distretto e con medesime finalità.
E cos’ha deciso la Fed? Niente Qe. Anzi, per utilizzare il gergo della Fed, niente Pomo (Permanent Open Market Operations). Giù i tassi benchmark di un altro quarto di punto, ora in area 1,75-2%, ma con tre voti contrari all’interno del Fomc, il comitato monetario: Eric Rosengren ed Esther George, rispettivamente numeri uno delle filiali di Boston e Kansas City, perché contrari a un intervento sul costo del denaro, mentre James Bullard della Fed di St. Louis perché – al contrario – chiedeva una sforbiciata più netta da 50 punti base. Un voto che alla fine si è risolto per 7 a 3, di fatto sancendo la divisione maggiore mai riscontrata in seno al board.
In compenso, il tasso che regola l’interbancario – lo Ioer che ha reso necessarie, dopo dieci anni, tre aste repo in tre giorni per scongiurare una crisi di liquidità – è stato tagliato di 30 punti base all’1,8%, ma, nel quadro generale, spicca l’assenza per il resto del 2019 di altri interventi sul benchmark. Insomma, fino a gennaio 2020 si resterà così. E attenzione: questo brodino nemmeno troppo ricco di carne è giunto appunto al termine di due giorni che hanno visto la Fed obbligata a dar vita, per la prima volta dal 2008, ad altrettante aste repo (la terza è stata uno stress test, di fatto, posto in essere ieri mattina a decisione presa) per fornire liquidità ai mercati, dopo che overnight i tassi legati all’interbancario erano andati alle stelle e sistematicamente oltre la banda di oscillazione prevista dalla Banca centrale.
Emergenza assoluta, quindi. Capace di giustificare qualsiasi mossa espansiva, con la benedizione della Casa Bianca. Invece no, il minimo indispensabile per non inviare il segnale sbagliato ai mercati. I quali, infatti, dopo il tonfo immediato seguito alla comunicazione delle decisioni, hanno chiuso la giornata in frazionale positivo e solo con il Nasdaq ancora in rosso, ancorché solo per lo 0,11%.
Cosa sta succedendo, Oltreoceano? Semplice, stanno recitando una pantomima. Ma ora, a differenza di quanto successo fino alla scorsa estate, di massa. Tutti attori, tutti con una parte in commedia. Volete sapere cosa ha riportato in verde gli indici, mercoledì sera, mentre Jerome Powell teneva la sua conferenza stampa all’insegna dell’arcinoto? Questo, ovvero il fatto che per Powell “è certamente possibile che avremo necessità di riesumare una crescita organica dello stato patrimoniale della Fed prima di quanto pensassimo”. Di fatto, lasciando una porta aperta allo stesso Qe che pochi istanti prima aveva negato con i fatti. E poi, con timing perfetto, a Borsa appena chiusa, Microsoft ha confermato 40 miliardi di nuovi buybacks, riguadagnando alla grande il titolo di Mister trillion e di azienda con il maggior market cap al mondo. Et voilà, il mercato è tornato al sereno. Nonostante i tassi interbancari: i quali possono andare fuori controllo per ragioni contingenti, come le scadenze tecniche sui coupon obbligazionari di questo periodo o anche per ragioni “politiche”. Ovvero, testare la volontà e la velocità di intervento a band aid, a cerotto, della Fed in caso di necessità.
Esame superato brillantemente, visto che in men che non si dica, la Fed di New York ha dato vita a due aste repo che in altrettanti giorni hanno iniettato nel sistema un totale di 128,2 miliardi di liquidità a brevissimo termine (1 giorno). Di fatto, quindi, il numero uno della Fed ha ottenuto il massimo risultato con il minimo sforzo, quantomeno rispetto alla magnitudo di intervento messa in campo dalla Bce non più tardi di una settimana prima. Jerome Powell ha ottenuto ciò che ogni capo della Fed cerca disperatamente in momenti di difficoltà reale, un po’ come il terzino a corto di fiato cerca la tribuna per lanciare il pallone lontano dalla sua area di rigore: kicking the can down the road, calciare il barattolo, guadagnare tempo in attesa che qualcuno o qualcosa faccia il grosso del lavoro, cambi la musica. Ma cosa? Ce lo dicono questo grafico e questa immagine, freschi freschi di apparizione pubblica.
Il primo fa parte dell’ultimo sondaggio di Bank of America fra gestori di fondi e, come vedete, a livello di riattivazione della volontà di operare su assets a rischio (equity) questi ultimi vedono un eventuale stimolo fiscale tedesco come un driver maggiore addirittura della riattivazione in grande stile della spesa infrastrutturale cinese o di un taglio di 50 punti base del costo del denaro in America. Insomma, la pressione sulla Germania affinché mandi in pensione la sua politica di cosiddetto black zero e torni, dopo cinque anni di nuovo indebitamento a zero, a mettere mano al surplus, sta crescendo. Di giorno in giorno.
E cos’altro sta crescendo in Germania? Lo mostra l’immagine, la quale rappresenta il poster dell’ultima iniziativa politica di Alternative fur Deutschland: utilizzando l’ultimo blitz espansivo di Mario Draghi come alibi e l’erosione dei risparmi tedeschi dovuta alla discesa ulteriormente in negativo del tasso sui depositi come aglio per i vampiri, ecco che i sovranisti tedeschi hanno varcato il loro Rubicone: la Germania esca dall’euro. In sé, una minaccia che può apparire sterile. Ma che, in un contesto di debolezza politica ed economica come quello attuale tedesco, deve invece far riflettere: quanto Angela Merkel potrà restare fedele al suo mantra rigorista, prima di dover concedere qualcosa all’opinione pubblica e all’elettorato? Sarà davvero un piano di spesa, ovviamente colorato di green, da 50 miliardi, come da più parti si indica?
Una cosa è certa: se la Germania comincerà a operare sulla leva della spesa pubblica sarà certamente un bene, almeno temporaneo, ma quasi certamente non risulterà risolutivo per rialzarla dalla crisi strutturale in atto. E, soprattutto, attenzione agli effetti collaterali: se ci saranno nuove emissioni da parte di Berlino, tutti i rendimenti obbligazionari europei sono destinati a salire. Al momento, i piani governativi non contemplano nemmeno l’ombra di deficit almeno fino a tutto il 2023: cambierà? “Sicuramente non fino a quando ci sarà questo esecutivo”, ha dichiarato a Bloomberg, Christoph Rieger, capo della strategia sul reddito fisso di Commerzbank AG. E per quanto ancora ci sarà, soprattutto se – come sembra e come testimoniato dalla cena dell’altra sera a palazzo Chigi fra Giuseppe Conte ed Emmanuel Macron – in sede europea starebbe per nascere un nuovo asse politico privilegiato fra Italia e Francia? Oltretutto, con una francese a capo della Bce e un italiano agli Affari economici come Commissario, per quanto “sotto tutela”.
Cosa cambierebbe se, travolto l’esecutivo tedesco nella sua forma attuale, la Germania davvero cominciasse a spendere e a emettere nuovo debito? Entreremmo in un territorio inesplorato, poiché un sostenuto aumento dei prezzi al consumo eroderebbe del tutto i returns del reddito fisso offerti dai bond in termini reali, esercitando ulteriore propensione all’abbandono dell’obbligazionario in favore di asset-class rivali e più rischiose (ma anche remunerative). A quel punto, però, quale ragione ci sarebbe per sostenere un atteggiamento bond-friendly e di allentamento monetario da parte delle Banche centrali, di fatto già responsabili da mesi della corsa generalizzata verso il reddito fisso come bene rifugio dai rischi crescenti di recessione?
Forse, alla Fed si sta ragionando in questi termini. Forse, l’attendismo di Jerome Powell ha una ragione più strategica e profonda di quanto non sembri il suo mero calciare il barattolo per l’ennesima volta. Forse, gli Usa puntano a un “pasto gratis” gentilmente offerto proprio dall’ultima mossa di Mario Draghi. Ma di questo, parleremo domani. Nel frattempo, spero solo che – al netto anche dell’ultimatum imposto unilateralmente al Regno Unito sul Brexit – chi dava Emmanuel Macron per politicamente morto a causa della rivolta popolare capitanata dai “gilet gialli”, colga l’occasione per prendere atto della castroneria detta. E tacere.