Ma quanti denari corrono sulle reti dei mercati globali, finora indenni dal rischio inflazione. Nel corso della settimana hanno ridotto il costo del denaro, o hanno preso provvedimenti anti-deflazione, o hanno confermato politiche monetarie ultraespansive, la Federal Reserve, la Banca del Giappone, la Banca dell’Inghilterra, la Banca nazionale svizzera, la Banca centrale del Sudafrica e la Banca centrale del Brasile. In contrasto con il movimento corale in atto in tutto il mondo, la Banca della Norvegia ha alzato il costo del denaro, per circoscrivere il boom degli investimenti generato dagli introiti del petrolio. Intanto l’asta Tltro III, indetta dalla Bce per dotare le banche dei fondi necessari per far fronte ai prestiti precedenti, si è chiusa con un flop: solo 3,4 miliardi richiesti contro una previsione di 100.
Non manca la liquidità, verrebbe da pensare. Anche a ricordare l’invito di Andrea Enria, il presidente dell’autorità di Vigilanza Ue, che sprona i banchieri ad “aver più coraggio” nell’attingere ai fondi messo in circolo dalla Bce.
Intanto la Germania si accinge ad aprire il portafoglio, ovvero a procedere all’emissione di bond verdi. Una palese violazione degli usi invalsi nella stagione dell’austerità, culminati nelle regole del Fiscal Compact: fa impressione l’aggiramento dei vincoli di legge tramite l’emissione di obbligazioni di un ente autonomo con garanzia pubblica che non saranno conteggiati nel debito pubblico. Un inghippo all’italiana che servirà tra l’altro a pagare una cedola del 2%, laddove i Bund sono trattati a -0,50%: un aiuto per i gestori messi in ginocchio dai tassi negativi, ma anche al risparmio dei pensionati, falcidiato dai tassi negativi a tutto vantaggio dei partiti sovranisti contrari agli aiuti ai “soliti” italiani che, governi la destra o la sinistra, continuano a chiedere flessibilità.
Diversa, ma solo all’apparenza, la situazione oltreoceano. Sul mercato interbancario i tassi d’interesse, invece di stare nel range predisposto per i Fed Funds, si sono arrampicati fino al 10%, costringendo la Federal Reserve a intervenire tutti i giorni con decine di miliardi di nuova liquidità per soddisfare la domanda di fondi del sistema e riaprendo così la discussione sulle dimensioni del bilancio della banca centrale: si procede così a tutta velocità nella direzione opposta a quella programmata un anno fa quando si proclamava l’avvio del Quantitative tightening, il taglio della liquidità accumulata negli anni di crisi. Ma da allora è scattata l’offensiva contro la Cina che ha reagito svalutando lo yuan e allentando a sua volta gli equilibri della finanza.
In estrema sintesi, un mondo indebitato dove le poche nazioni in surplus (Germania e Olanda in testa) sono pronte finalmente a svolgere un ruolo attivo. Non tanto per evitare il collasso dell’Eurozona, quanto per finanziare una transizione ecologica che si annuncia lunga e costosa, destinata a produrre frutti nel tempo, ma che per ora rischia di comportare dolori, riducendo il tasso di crescita e comportando tagli nel breve termine: l’auto elettrica, ha ammonito Alberto Bombassei di Brembo, mette a rischio un milione di posti di lavoro. E l’Italia, in questo contesto, è più attiva di quanto non appaia a prima vista.
Fiat Chrysler, una volta archiviato il flop dell’alleanza con Renault e senza troppo illudersi sugli incentivi di Stato per l’auto elettrica, si prepara al debutto di primavera della 500 E attrezzando Mirafiori con le colonnine di un’infrastruttura allestita assieme a Terna che permette ai veicoli di interagire con la rete. Sul fronte dell’energia, del resto, l’Italia non è affatto ferma: Enel grazie soprattutto alla crescita delle rinnovabili, è diventata la seconda utility al mondo per valore di Borsa, mentre continua la marcia di multinazionali tascabili come Falck Renewables che, una volta uscita dall’acciaio, si è trasformata in una piccola potenza del fotovoltaico che genera il 10% dei ricavi sul mercato americano.
Solo due esempi di un sistema in movimento, senz’altro più solido, se si guarda alle banche, dei giorni della grande crisi. Ma troppo debole per ripartire in mezzo a possibili tempeste (vedi la Brexit) e in attesa del Big match dell’anno elettorale Usa, che sarà dominato dal duello sul fisco. Dopo quarant’anni dominati dal “meno tasse”, si riaffaccia il tema dell’eguaglianza. Sarà la chiave di volta della campagna democratica in Usa, è al centro delle riflessioni del Financial Times, ma anche l’oggetto del nuovo libro di Thomas Piketty: il capitalismo, scrive l’autore, “non è più in grado di giustificare le sue diseguaglianze che non hanno giustificazioni economiche o tecnologie, bensì politiche”. Alla faccia di chi si illude che non esiste più la distinzione tra destra e sinistra.