Una notizia si è diffusa la settimana scorsa, inerente l’emergenza alimentare proclamata in Argentina, facendo risaltare il dato del 33% della popolazione in stato di povertà. Alcuni media Italiani poi hanno fatto un bel po’ di confusione, visto che hanno decretato anche un’emergenza sanitaria e nessuno si è mai degnato di controllare l’autenticità del dato, visto che non è mai stata proclamata. Insomma, ancora una volta si diffonde una visione che solo parzialmente corrisponde alla realtà: difatti nessuno, nemmeno l’attuale Governo (al contrario del precedente) nasconde lo stato di crisi, solo che sarebbe opportuno, forse, indagarci sopra e se ne scoprirebbero delle belle.
Nonostante la Fao, anni fa e durante l’Expo di Milano, abbia premiato l’ex Presidente Cristina Kirchner per i risultati raggiunti dai suoi Governi nella lotta contro la povertà, nessuno, ma proprio nessuno, si soffermò a fare una seppur minima ricerca sui dati che l’allora Governo argentino passò all’Onu e che servirono per raggiungere l’ambito premio: i numeri parlavano di una povertà al 5% della popolazione, un numero uguale a quello della Germania. E allora come mai sia l’Università di Buenos Aires, così come quella Cattolica e diversi enti preposti, davano invece un rotondo 35%? E come si spiegherebbero le immense “Villas Miserias” che già erano presenti nel territorio argentino senza che il Governo le costruisse il benché minimo servizio? Semplice: il dato, come d’altronde anche gli altri numeri del Paese, era falso: ma non si scatenò nessuna protesta e nemmeno ci si propose di ritirare e annullare il “premio” alla bugia.
Ma come può un Paese in grado di produrre materie prime alimentari in grado di sfamare 450 milioni di persone avere dati di povertà simili? Semplice: perché non esiste un’industria sui derivati che possa, con il suo sviluppo, garantire non solo un’economia migliore, ma anche benessere ed occupazione. Questo perché la povertà costituisce, lo ripetiamo, un bene da preservare in quanto garantisce il potere politico, ma non solo: il guaio è che per sviluppare un’industria degna di questo nome, sfruttare le incalcolabili ricchezze del sottosuolo argentino, insomma costruire un’economia, occorre tempo e non si può ottenere, purtroppo, con l’uso di bacchette magiche, ma con piani concreti di sviluppo di infrastrutture, ultimate le quali si possano insediare capitali in grado di costruire industrie e dare lavoro o anche di sviluppare il settore agricolo non solo attraverso la meccanizzazione estrema, che già esiste, ma anche costruendo impianti di irrigazione che permettano, anche in periodi di siccità, di garantire raccolti sostanziosi, senza far entrare in gioco crisi di produzione che poi si riflettono sull’intera economia mandandola in frantumi, come già occorso lo scorso anno.
C’è anche un altro dato significativo: le aree dove si riscontra il maggior tasso di povertà sono quelle del Nord del Paese, del Gran Buenos Aires e della provincia patagonica del Chubut e Santa Cruz. Guarda caso tra le più ricche dell’Argentina: la Patagonia viene da tempo chiamata Saudita per le sue riserve non solo minerarie e di petrolio, ma anche di gas e di… venti (lo sfruttamento eolico dei quali garantirebbe energia elettrica a tutto il Continente latinoamericano), mentre nel nord sono presenti giacimenti di litio tra i più grandi al mondo, che consentono una produzione record mondiale di questo materiale, altra fonte energetica del presente e soprattutto del futuro.
Il problema è che proprio queste province sono Governate da oltre 40 anni dal peronismo più esacerbato che ha installato dei veri Stati nello Stato, governati da famiglie di veri e propri “ras” del territorio… Tra queste pure i Kirchner che da tempo immemorabile hanno in Santa Cruz il loro feudo. È ovvio che non si pensa nemmeno lontanamente a uno sviluppo del territorio, che viene governato con metodi mafiosi e dove le attività criminali prosperano con mancanza di controlli e il totale consenso delle autorità: non per nulla in questi ultimi 30 anni il narcotraffico si è sviluppato in forma esponenziale ed è diventato una fonte di ricchezza tale da provocare proteste popolari ogniqualvolta l’attuale Governo voglia combatterlo perché fonte di manodopera in un’attività pericolosa, sì, ma meno faticosa e più remunerativa (aggiunta ai sussidi garantiti dallo Stato) di quelle legate ad altri settori.
Spesso interi raccolti vanno in fumo perché non si trova gente che voglia dedicarsi a questa attività e anche quando la manodopera viene trovata le proposte vengono rifiutate: sintomo di quanto la cultura del lavoro lasci spazio a quella della sopravvivenza minima, sì, ma senza sforzo o con la possibilità offerta dal lavoro nero, spesso in attività fuorilegge.
Il guaio è che tutto il fenomeno assistenziale grava sulle casse di uno Stato che poi, per permetterne la sopravvivenza non avendo entrate da un’economia stagnante per mancanza di investimenti (che non arrivano perché le infrastrutture non ci sono e per paura di dover affrontare le ricchissime mafie sindacali) deve per forza ricorrere a due strade: tasse (che colpiscono la classe media) e prestiti internazionali, che poi però espongono l’Argentina a pericolose situazioni e non solo perché risenta delle scosse economico-finanziari internazionali, ma anche per un’altra ragione, tipicamente locale.
Nonostante il Paese abbia la propria moneta ufficiale, cioè il Peso, quella ufficiosa è il Dollaro, che costituisce la maggior parte dei depositi bancari e sul cui cambio si basa l’economia alla fine più importante: chiamata “bicicleta financiera” costituisce lo sport nazionale che ha assorbito quantità industriali di denaro e che spesso costituisce una fonte di guadagni talmente alta da togliere fondi a investimenti nel settore economico. Ma che diventa pure uno strumento politico di controllo del Paese perché è sufficiente che una banca (spesso governata politicamente) di colpo decida di acquistare dollari per provocare una situazione domino che investe più di 2 milioni e mezzo di persone e provoca l’innalzamento dell’inflazione.
Questo perché, come dicevamo, manca un’economia degna di questo nome in grado di annullare questo fenomeno che poi scatena crisi, come accaduto nel maggio e nell’agosto dello scorso anno, che si riflettono a livello internazionale e aumentano il rischio Paese, bloccando eventuali investimenti.
Basta quindi poco a far saltare l’Argentina, quindi, e a “giustificare” il dato sulla povertà: certo è che le misure per contrastare i fenomeni fin qui descritti esistono e potrebbero permettere, viste le ricchezze di cui dispone, un’Argentina potenza mondiale, garantendo un benessere generale vero e reale, non collegato alle elemosine tanto care al populismo di stampo peronista. Ma ciò significherebbe politiche di Stato concertate tra i partiti o i movimenti che possano realizzare con il tempo anche una società più giusta: insomma, un dialogo costante che però non è realizzabile finché il peronismo non diventa un movimento che rispetta il concetto di Repubblica con uno Stato di diritto. Cosa che purtroppo, stanti anche le dichiarazioni con le quali il candidato alla Presidenza del “Frente para todos”, Alberto Fernandez, che nelle primarie ha stravinto sull’attuale Presidente Macri, non accadrà, dato che non è sua intenzione cambiare le cose, riportando anzi gli orologi dell’Argentina a un eterno 1975.