La magica estate di Emmanuel Macron è finita sabato: sicuramente non come sperava il Presidente francese, reduce da settimane di luccichìo geopolitico. Il risiko delle nomine Ue a Bruxelles, il G7 di Biarritz, lo spregiudicato summit con Vladimir Putin in Costa Azzurra: sempre lontano da Parigi Che invece ieri, con le prime foglie morte, è tornata inesorabilmente a riflettere il giallo elettrico e sinistro dei gilet. Ma non solo.
Macron era fresco reduce da una trasferta dal sapore gollista a Roma: per incassare la sua parte di merito nel ribaltone estivo del Governo italiano; per esibire nella città di Mario Draghi la nomina di Christine Lagarde alla Bce; per lasciare istruzioni sulla riapertura obbligatoria dei porti italiani ai migranti (Dublino non si tocca: solo una minoranza di profughi verrà redistribuita presso paesi Ue “volenterosi”, per la larga maggioranza di “economici” resterà affare esclusivo dell’Italia tenerli o rimpatriarli).
Il Presidente francese, senza dubbio, avrà ricordato al premier Conte-2 anche il nuovo mantra verde della politica economica Ue: prerequisito unico per ottenere da Bruxelles – forse – un pizzico di flessibilità per la manovra 2020. Chissà, forse il lancio del “decreto ambiente” – abortito nell’arco di ventiquattr’ore sul tavolo del Conte-2 – è stato tentato proprio sulla ali dell’entusiasmo portato da Macron, alfiere di ogni globalismo climatico. Ma – chissà – forse anche un premier rilassato e politicamente irresponsabile come il Conte-2 avrà avuto un ultimo scrupolo “parigino” prima di andare all’attacco degli sconti ai carburanti tradizionali per autotrasportatori e agricoltori. O banalmente prima di alzare per via fiscale il prezzo del gasolio per le auto poco ecologiche di tanti italiani a basso reddito (il grosso degli elettori M5S e Pd). Un anno fa è stata proprio la lotta decretata dal Presidente-tecnocrate Macron ai carburanti “sporchi” della Francia profonda – “brutta, sporca e cattiva” – ad accendere il gigantesco rogo jaune: giunto all’Acte 45 ed evidentemente lontano dall’essere domato.
Certo l’impatto politico-mediatico di ogni carbon tax sarebbe sicuro anche in Italia presso una minoranza di radical chic “gretini” sempre proprietari di vetture di ultimissima generazione. E non di rado anche ricchi investitori in fondi di private equity che puntano sullo sviluppo di tecnologie pulite (con stretto fine di profitto, ndr). I primi a essere orgogliosi dell’ecologismo politicamente corretto dei padri sarebbero in ogni caso i figli: come i gilet verts che ieri hanno aggiunto colore e movimento al sabato parigino in onore della loro eroina, impegnata all’Onu. Peccato che poi fra i boulevard attorno all’Eliseo si siano affacciati – a sorpresa – anche i cappucci noir dei blac block: gli antagonisti casseur “no-Tutto” che contestano potenti ed élites sempre e comunque. Quando governanti e rich and famous si ritrovano a Davos dopo un’ennesima crisi finanziaria, ma anche quando dichiarano pentimento e buoni propositi – ma sempre con le tasse degli altri – sul Financial Times o sull’Economist.
In attesa nuovi lumi, il dato di cronaca del sabato parigino è stato che gli incappucciati provenienti delle banlieue – cugini fra l’altro dei centri sociali torinesi no-Tav – ce l’avevano con i ragazzini-con-borraccia inquadrati dalle Ong. Non con il ceto medio proletarizzato “in giallo”che la mattina aveva costretto il “benzinaio” Macron a schierare attorno al suo castello assediato 7.500 poliziotti. Che hanno confermato con centinaia di arresti l’approccio del grand debat aperto dal Presidente francese: per capire come mai i francesi (ma forse anche gli abitanti del suo temporaneo protettorato italiano, controllato direttamente da Parigi attraverso il dem Sandro Gozi) non si fidano proprio della sua Europa. Dove i cittadini che non possono votare e devono solo pagare nuove tasse “gretine”, prima o poi scendono in piazza.