Lunedì 22 settembre è caduto l’ultimo diaframma dei primi 9 chilometri della galleria transfrontaliera per il futuro collegamento Tav Torino-Lione, costruito tutto in territorio francese: questo evento dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che in tutto questo periodo si è continuato a scavare: a oggi il 18% delle opere necessarie per realizzare la galleria sono state fatte.
A festeggiare la caduta del diaframma c’era buona parte dei 450 lavoratori coinvolti nella realizzazione dell’infrastruttura, in prevalenza italiani e francesi, insieme con i dirigenti di Telt, la società pubblica incaricata di realizzare l’opera. C’era anche una delegazione europea, guidata da Philippe Chantraine, della direzione generale Move, una specie di ministero dei trasporti europeo, e una delegazione francese, guidata dal nuovo ministro dei trasporti Jean-Baptiste Djebbari, che ha schiacciato il pulsante che ha dato il via all’ultimo scavo. Assenti, invece, le autorità italiane, ufficialmente per motivi organizzativi, ma evidentemente per l’imbarazzo di un evento che vede divise le due forze di governo: nonostante il cambio di alleanza, l’esecutivo si trova diviso tra sostenitori e oppositori dell’opera, anche se la decisione di realizzare la Torino-Lione è ormai definitivamente acquisita. Presto infatti, partiranno le gare per i restanti quattro lotti e altre sette frese cominceranno a scavare.
Ora che la questione è stata risolta, sembra opportuno chiedersi come mai un argomento tecnico, la sostituzione di un tratto di ferrovia del 1800 con uno più moderno, sia stato in grado di sollevare così forti conflitti e riempire piazze di folle contrapposte. Osserviamo che questo non è avvenuto in Svizzera, per la costruzione del tunnel di base del San Gottardo, e neppure avviene in Alto Adige, per la costruzione, in corso, del tunnel di base del Brennero: svizzeri e altoatesini sono certamente popolazioni fiere della propria autonomia e molto attente alla salvaguardia del proprio ambiente naturale. Il conflitto per la linea Torino-Lione rappresenta quindi un’eccezione.
Tentiamo quindi una riflessione a partire da un’interessante lapide che si trova a Susa, accanto al maestoso arco di Augusto; la lapide, posta nel 1992, porta scritto: “Nel bimillenario dell’arco che idealmente congiunge le origini e il compimento del cammino verso l’unità europea, LE POPOLAZIONI DELLE ALPI OCCIDENTALI (in maiuscolo nella lapide) eredi delle tribù coziane e della storica alleanza qui stipulata TRA COZIO I, RE DELLE ALPI, ED AUGUSTO, FONDATORE DELL’IMPERO ROMANO, auspicando intese sempre più forti e feconde tra popoli e nazioni, POSERO”.
Notiamo innanzitutto che chi pose la lapide nel 1992 si definì “POPOLAZIONI DELLE ALPI OCCIDENTALI eredi delle tribù coziane”, esprimendo un forte senso di identità e di autonomia; senso esaltato dalla celebrazione della “storica alleanza TRA COZIO I, RE DELLE ALPI, ED AUGUSTO, FONDATORE DELL’IMPERO ROMANO”: si noti innanzitutto l’ordine con cui sono citati i due sovrani e si rifletta poi sulle dimensioni dei due regni. Spiega la storia che Augusto, dovendo assicurare il transito sicuro del Moncenisio per garantire l’accesso alle Gallie, pur disponendo di una forza militare soverchiante, scelse di fare un patto con Cozio, il quale fu a tal punto onorato da far costruire il famoso arco proprio in onore di Augusto e in memoria del foedus.
Questa capacità di lettura del contesto e di fine sensibilità politica mancò, probabilmente, nel 2001 quando il governo Berlusconi-Bossi pensò di risolvere i conflitti, che sempre si creano in questi contesti tra centro e periferia, con la promulgazione della “Legge Obiettivo”, che identificando le infrastrutture strategiche attribuiva al Governo i poteri per superare i veti locali. L’opposizione alla legge, guidata dai DS, trovò un terreno fertile nell’orgoglio della valle, ferito oltre che nel metodo anche nel merito da un progetto sovradimensionato e con gravi carenze tecniche.
Solo nel 2006, dopo duri scontri, si dà avvio all’Osservatorio per la Torino-Lione, luogo istituzionale di confronto con le istituzioni e le parti sociali locali, dove, con un lungo lavoro di analisi e di mediazione, si arriva nel 2011 a definire il progetto definitivo, oggi in fase di realizzazione. La protesta però non si placa, anzi: raggiungerà il suo apice nel dicembre 2008 e continua ancora oggi, anche se con toni meno violenti. Cos’è avvenuto quindi? Che i DS perdono presto il controllo della situazione e l’opposizione, guidata da altre forze, produce una mutazione genetica dell’oggetto: non siamo più di fronte al progetto di una ferrovia, ma a un simbolo, il “NO TAV”, sintesi di molte opposizioni: alla rappresentanza democratica, al potere centrale, all’emarginazione degli ultimi, a un progresso sempre più connotato da aspetti consumistici… Del resto, il treno è sempre stato un simbolo del potere: pensiamo a Marinetti e ai futuristi, pensiamo a Guccini.
Per questo, anche se il processo decisionale relativo alla soluzione tecnica è stato definito, non ci possiamo illudere che la questione culturale e quindi politica lo sia altrettanto: alla potenza dei simboli ci si può opporre solo con un attento lavoro culturale, che permetta di coglierne tutte le verità, ma anche tutte le menzogne.