In Europa c’è qualcuno che vorrebbe respirare un’aria di cambiamento, ma questo non accadrà. Anzi, il vero e proprio mancato cambiamento sarà il mezzo attraverso il quale chi pretende di cambiare dovrà mutare la propria convinzione. L’insediamento del nuovo leader della Bce Christine Lagarde è ormai prossimo e il suo predecessore Mario Draghi ha voluto mettere in guardia tutti i futuri interlocutori della neoeletta, richiamandone l’attenzione nel corso della sua ultima audizione di fronte al Parlamento Ue: «Dalla mia ultima audizione davanti a questa commissione lo slancio della zona euro è rallentato significativamente, più di quanto avevamo anticipato. Il Pil è ora previsto a 1,1% nel 2019, meno 0,6 punti dalle proiezioni di dicembre, e 1,2% nel 2020, meno 0,5 punti da dicembre». Una fotografia dell’attuale stato di salute dell’intera Eurozona.
Nonostante le precedenti obiezioni del presidente della Bundesbank Jens Weidmann nei confronti del nuovo Quantitative easing (e non solo) annunciato lo scorso 12 settembre, Mario Draghi, ha voluto rimarcare ulteriormente la propria visione d’insieme e in particolar modo nei confronti della stessa nazione tedesca, poiché, come spesso accade, talvolta, è necessario indicare – anche se potenzialmente controproducente – i principali interpreti di un eventuale prossimo copione: «La Germania è oggi uno dei Paesi più colpiti dal rallentamento».
I numeri sono chiari e agli occhi di tutti: la celebre locomotiva d’Europa non viaggia come sua consuetudine storica; i recenti dati sul Pil nazionale ne certificano il suo rallentamento, ossia l’anticamera a un successivo e potenziale stato di cosiddetta recessione tecnica. Nei confronti dello stesso Mario Draghi, le reazioni, nel corso di queste ultime ore, non si sono fatte attendere: Sabine Lautenschlager, membro del Consiglio esecutivo, si è dimessa prima della scadenza del proprio mandato. Un gesto significativo soprattutto perché legato a uno “stato di polemica latente” nei confronti del governatore europeo. E se a quanto detto, è seguito quanto fatto, è allora doveroso riprendere le parole utilizzate dallo stesso Draghi nel corso del suo intervento durante l’ultimo meeting della Bce.
Scorrendo l’intero discorso del Presidente uscente, è importante sottolineare l’inciso adottato in ottica di possibili interventi: dallo storico «whatever it takes» (“qualsiasi cosa”) si è passati all’attuale «in any case for as long as necessary» (“in ogni caso finché sarà necessario”). Affermazioni diverse ma con un significato alquanto simile, poiché la via di passaggio da un “essere necessario” a uno possibile “stato di bisogno” è assai immediata. A tale interpretazione ci viene in aiuto il noto vocabolario d’autore della lingua italiana Devoto-Oli (di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli) che riporta il corretto significato (e importanza) a ciascuno termine: la necessità è una «condizione corrispondente all’impossibilità, assoluta o relativa, di qualsiasi scelta o sostituzione», mentre il bisogno rappresenta la «mancanza di qualcosa che sia indispensabile o anche solo opportuna, o di cui si senta il desiderio».
Richiamando le considerazioni di Mario Draghi – oggi (e domani) – ci troviamo in uno stato di necessità e il preannunciato Qe è propedeutico in tale direzione ancor più se ci sarà bisogno. Anche se sostanzialmente diverso (per ora), il nuovo piano di intervento stabilito dalla Bce, sarà il vero e proprio salvagente dell’intera Eurozona per i prossimi anni. L’Europa, sta vivendo (e ha vissuto), un paradosso che passa inosservato. Dal 2011, il Vecchio continente, ha beneficiato di numerose fasi di intervento “non convenzionale” alle quali non ha risposto adeguatamente. Se il risultato conclusivo è rappresentato da un “rallentamento significativo”, ciò vuol dire che le azioni dei singoli Paesi non hanno beneficiato dei risultati sperati. Inutile soffermarsi sulle cause, e soprattutto è assai inutile focalizzare “il problema” sulle conseguenze dell’attuale guerra commerciale tra Usa e Cina. Si doveva fare molto. Prima.
Ben venga il Quantitative easing di nuova generazione, ben venga l’interventismo diretto sui mercati, ben vengano tutte quelle azioni che – prudenzialmente – fanno già parte della stessa “cassetta degli attrezzi” in dote alla Bce. È fondamentale allontanarci da una possibile soglia del bisogno perché, come insegna Abraham Manslow, il fattore “sicurezza” è pressoché alla base della piramide.
Si inizierà facendo il “necessario” per successivamente intervenire “al bisogno”. C’è però un timore, un evidente timore in capo a singoli paesi che ne potranno beneficiare: gran parte di questi, sono già in uno stato di bisogno e, probabilmente, non lo vogliono ammettere.