Non solo cicale, ci son tante formiche

Le Pmi sono più della spina dorsale economica del Paese: sono protagoniste nel grande ambito dell'economia sostenibile

Non si fa alcun cenno nel nuovo Governo, così come nel precedente, a una delle leggi più innovative e utili all’economia italiana degli ultimi anni, “Industria 4.0” dell’ex ministro Carlo Calenda. Si tratta del provvedimento che ha permesso alle piccole e medie imprese di rinnovare i propri macchinari ed essere così in grado di competere al meglio nel mondo globalizzato. Nella speranza che si ponga presto rimedio a questa, grave, lacuna, è utile sottolineare che il problema del sostegno alla Pmi non è marginale, visto che di Pmi è costituito quasi per intero il tessuto produttivo italiano.

A più riprese la piccola impresa era stata data per spacciata. Soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2008, era stata considerata superata, il suo “nanismo” nel mondo globalizzato visto come un pericolo per la sua tenuta e per la tenuta del sistema Paese. La realtà di questi 10 anni ha smentito le previsioni: le Pmi italiane ed europee, non solo continuano a mostrarsi vitali e centrali in un sistema produttivo in rapida trasformazione, ma si sono rivelate come le prime protagoniste nel grande ambito dell’economia sostenibile, di quella che viene ormai chiamata semplicemente “sostenibilità”.

Lo mostra il nuovo rapporto annuale della Fondazione per la Sussidiarietà intitolato “Sussidiarietà e … Pmi per lo sviluppo sostenibile” che sarà presentato a Milano lunedì 30 nella Sala di Confcommercio in corso Venezia 47, alla presenza di Stefano Bordone, Alberto Brugnoli, Carlo Calenda, Massimo Carboniero, Stefano Firpo, Giuseppe Guerini, Federico Visconti, Alberto Sportoletti.

Il termine “sostenibilità” contiene un’ampia varietà di temi che riguardano ambiti economici, sociali, istituzionali, ambientali. Il Rapporto suggerisce un criterio unitario per affrontare tutti questi aspetti: quello della centralità dell’uomo nello sviluppo, della necessità di supportare il suo protagonismo sociale liberando energie, idee, creatività grazie a una cultura sussidiaria. E mette in luce gli elementi che esprimono il Dna naturalmente rivolto alla sostenibilità delle Pmi: il loro stretto legame con il territorio, con un ruolo determinante nei processi che portano lo stesso a diventare “sistema territoriale” competitivo anche attraverso l’apertura internazionale; un senso del lavoro e del rischio di impresa particolarmente radicato; l’apporto ai processi innovativi e formativi, soprattutto delle start-up; la capacità di collaborare e fare rete; l’implicazione in dinamiche sociali; il contributo offerto alla democrazia (non solo economica).

I dati del Rapporto mostrano come le Pmi stiano già portando i diversi territori nei quali sono inserite, con tutti i loro abitanti, su percorsi di sviluppo sostenibile. In tutti i principali paesi d’Europa – siano essi aeree di industrializzazione diffusa, sistemi urbani, aree ad alta valenza ambientale – sono soprattutto le Pmi a raccogliere le sfide portate dalla green economy e dalla digitalizzazione. Inoltre, è interessante notare che sono le Pmi più sostenibili quelle che ricercano insistentemente l’innovazione. Questo risulta evidente, per esempio, dai risultati dell’indagine condotta sugli associati di tutti i comparti che compongono la filiera Legno-Arredo in Italia.

Sulla relazione tra dinamiche innovative e sostenibilità, un’ulteriore analisi contenuta nel Rapporto su 380 Pmi dei settori caratterizzanti il made in Italy (Tessile-Abbigliamento, Macchine utensili, Legno-Arredo, Agroalimentare-Ortofrutta) ha rilevato, tra altri risultati, che il fenomeno delle start-up innovative in Italia esprime contenuti imprenditoriali rilevanti, buona capacità di coinvolgimento e valorizzazione di capitale umano giovane e qualificato. Questo risultato è da sottolineare in quanto è crescente la percentuale delle start-up innovative sul totale delle nuove società di capitale. Sono start-up innovative il 32,9 percento delle nuove aziende in ambito digital, con picchi di oltre il 30 percento nella fabbricazione di computer e nella produzione di software e oltre il 66 percento nella ricerca e sviluppo.

Infine, il Rapporto pubblicato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, in merito alla tanto dibattuta relazione tra impresa aziendale e produttività (indicatore importante per la sostenibilità dell’impresa nel lungo periodo), presenta dati che evidenziano la crescita maggiore del valore aggiunto pro capite per le Pmi (più 19,9 percento) rispetto a quello delle grandi imprese (più 18,3 percento).

Perché il Paese (e l’Europa tutta) torni a crescere, occorre innanzitutto promuovere, in un’ottica sussidiaria e attraverso policy mirate a raggiungere pochi obiettivi qualificanti, la fascia di Pmi sostenibili che già ne costituiscono la reale spina dorsale. La cultura sussidiaria permette infatti di perseguire le migliori strategie di governo e di governance, declinandole alle differenti scale territoriali, consentendo alle autorità pubbliche di ogni livello di individuare più adeguatamente le priorità nei processi di trasformazione, per rispondere in modo pertinente alle urgenze di sistema, siano esse locali, nazionali o globali. Urgenze che non possono più aspettare.

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