Se qualcuno crede che il problema delle inadempienze contributive riguardi i soli datori di lavoro privati si sbaglia di grosso. Sia che si trattasse di vere e proprie evasioni, sia che – come il più delle volte accadeva – la situazione fosse da addebitare a errori e inefficienze delle gestioni amministrative, sta di fatto che, per molti dipendenti di amministrazioni ed enti pubblici, si sono accumulati, soprattutto in passato, periodi di servizio scoperti (o non totalmente coperti) da contribuzione.
La problematica riguarda, in particolare, gli iscritti alle cosiddette gestioni esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria, le quali tutelano sia i dipendenti statali, che sino a tutto il 1995 non avevano addirittura alcuna gestione pensionistica di riferimento, perché i loro “trattamenti di quiescenza” venivano direttamente erogati dalle amministrazioni datrici di lavoro, sia molti altri pubblici dipendenti, compresi quelli degli enti locali, per i quali invece operavano gli Istituti di previdenza gestiti dal ministero del Tesoro.
Dal 1° gennaio 1996 tali regimi sono stati affidati all’Inpdap, che ha così amministrato, sino a tutto l’anno 2011, le cinque gestioni esclusive, e cioè: la Cassa delle pensioni per i dipendenti degli enti locali (CPDEL), la Cassa per le pensioni degli ufficiali giudiziali (CPUG), la Cassa per le pensioni dei sanitari (CPS), la Cassa per le pensioni degli insegnanti di asilo e scuole elementari parificate (CPI) e la neo-istituita Cassa dei trattamenti pensionistici ai dipendenti dello Stato (CTPS).
Dal 2012, a seguito dell’incorporazione dell’Inpdap nell’Inps, disposta con la “riforma Fornero”, dette gestioni sono amministrate da quest’ultimo Istituto. Con l’avvento dell’Inps, dell’informatizzazione e di nuove procedure amministrative e di controllo, la gestione corrente dei flussi contributivi è diventata decisamente più efficiente. Ma non ha risolto il problema delle scoperture risalenti.
Detta problematica era in effetti rimasta, per così dire, “quiescente” per molti anni, anche perché l’Inpdap aveva ritenuto che – a differenza di ciò che avviene per la contribuzione dovuta alle altre gestioni pensionistiche, che si prescrive in 5 anni – i contributi dovuti ai regimi esclusivi di propria competenza non fossero soggetti a prescrizione. E dunque aveva ritenuto che le relative somme potessero essere “comodamente” recuperate anche ben oltre il quinquennio successivo dalla scadenza dei termini di pagamento.
I problemi sono iniziati quando l’Inps, subentrato all’Inpdap, ha a un certo punto affermato che quell’interpretazione era sbagliata, giacché ha ritenuto che, con l’entrata in vigore dell’art. 3, commi 9 e 10, l. n. 335/1995, dal 17 agosto 1995 la prescrizione aveva iniziato normalmente a decorrere anche per i contributi dovuti alle gestioni esclusive. L’Istituto ha, però, anche ritenuto che tale prescrizione, pur comportando l’estinzione dell’obbligo contributivo, non faceva venir meno la posizione debitoria degli enti: anzi, in realtà la aggravava.
Le risalenti disposizioni operanti nel settore (art. 31 l. n. 610/1952) assicuravano a quasi tutti i lavoratori iscritti nei regimi esclusivi (restavano fuori solo gli insegnanti iscritti alla CPI) la piena automaticità delle prestazioni: i periodi di servizio, cioè, dovevano comunque riconoscersi ai fini pensionistici, anche se i contributi non erano stati mai versati. Ma – precisava ancora l’Inps – gli oneri di tale beneficio non potevano essere sopportati dall’Istituto, dovendo piuttosto essere addebitati all’ente inadempiente, che, una volta maturata la prescrizione dei contributi in applicazione della legge n. 335, diventava debitore della riserva matematica prevista per alimentare la quota di pensione corrispondente al periodo di scopertura, calcolata ai sensi dell’art. 13 l. n. 1338/1962. Ciò significava che, nella maggior parte dei casi, quell’ente pubblico doveva sopportare un onere economico ben maggiore, rispetto all’ammontare dei contributi prescritti.
Tale radicale modifica dell’interpretazione accolta dalla prassi interpretativa ha sollevato un problema politico di enorme rilevanza. La nuova interpretazione della disciplina di riferimento è stata infatti ufficializzata solo nel 2017, e dunque quando per moltissime posizioni debitorie la prescrizione doveva considerarsi, a rigore, già maturata, e quindi si preannuciava il recupero, anche in via coattiva, della suddetta, ben più gravosa riserva matematica: come già accennato, infatti, la maggior parte delle scoperture contributive riguarda anni risalenti.
A fronte delle proteste sollevate dagli enti pubblici, con l’appoggio delle organizzazioni sindacali, l’Inps ha dovuto dare al problema politico una risposta altrettanto politica: sempre per mezzo delle proprie circolari, infatti, ha affermato di considerare “sospesa”, sino al 1° gennaio 2020, l’operatività del termine di prescrizione dei contributi dovuti alle cinque gestioni esclusive, e di poter pertanto consentire, entro quel termine, il pagamento tardivo (così, da ultimo, circolare n. 117/2018).
Tale soluzione, tuttavia, sotto il profilo giuridico era del tutto errata: l’Inps non aveva infatti alcun potere di disporre tale “sospensione”, giacché la legge n. 335 gli imponeva di prendere atto dell’avvenuto decorso dei termini prescrizionali, e di rifiutare categoricamente qualsiasi pagamento di contribuzioni prescritte. La sanatoria di tali situazioni, pertanto, non poteva che derivare da una disciplina di legge.
Si spiega così la ragione per la quale l’art. 19 del d.l. n. 4/2019 conv. l. n. 26/2019 – e cioè del decreto che ha introdotto reddito di cittadinanza e “quota 100” – ha disposto che “Per le gestioni previdenziali esclusive amministrate dall’Inps cui sono iscritti i lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui al d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, i termini di prescrizione di cui ai commi 9 e 10, riferiti agli obblighi relativi alle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria afferenti ai periodi di competenza fino al 31 dicembre 2014, non si applicano fino al 31 dicembre 2021, fatti salvi gli effetti di provvedimenti giurisdizionali passati in giudicato nonché il diritto all’integrale trattamento pensionistico del lavoratore“.
Detto in parole più semplici, oggi tutte le amministrazioni statali e gli enti pubblici che non hanno versato contributi alle cinque gestioni esclusive ex-Inpdap possono versare tutti i contributi dovuti sino all’anno 2014, che sino alla fine del 2021 vengono resi immuni alla prescrizione: la norma, quindi, esplica un effetto retroattivo, che si estende anche agli obblighi contributivi risalenti, che si sarebbero dovuti già considerare estinti per decorso dell’intero termine quinquennale, ma che, in tal modo, vengono “resuscitati”. L’unico limite a tale reviviscenza è infatti previsto per le contribuzioni per le quali l’estinzione sia stata dichiarata con sentenza passata in giudicato.
L’operazione dovrebbe risultare favorevole per gli enti interessati, i quali, se regolarizzano la contribuzione nell’ampio lasso di tempo concesso dalla norma, impediscono all’Inps di richiedere il versamento della riserva matematica ex art. 13, l. n. 1338/1962, che, come già detto, solitamente impone un onere economico ben più pesante.
Nessun problema, infine, sembra porsi per i lavoratori iscritti ai regimi interessati, ai quali rimane assicurato un regime di automaticità delle prestazioni ben più favorevole di quello applicabile ai dipendenti dei datori di lavoro privati e pubblici iscritti nel regime generale e in altri regimi, diversi dai cinque già amministrati dall’Inpdap. Mentre, infatti, per costoro i contributi non versati valgono ai fini pensionistici, solo se non si sono prescritti, agli iscritti ai cinque regimi esclusivi ex Inpdap – e, quindi, a differenza di quanto avveniva in precedenza, anche agli insegnanti iscritti alla CPI – viene assicurato in ogni caso “il diritto all’integrale trattamento pensionistico“: i contributi arretrati, dunque, ai fini della prestazione vengono considerati sempre e comunque come versati, anche se, nonostante l’intervento legislativo, per questi si dovesse in futuro maturare la prescrizione.
Il legislatore sembrerebbe, quindi, aver posto le condizioni per superare, o comunque ridimensionare di molto il problema dei pregressi inadempimenti contributivi dei datori di lavoro pubblici. Sarà interessante verificare se l’immensa “giungla” delle nostre pubbliche amministrazioni, centrali e locali, risponderà adeguatamente.