“Vergognosa, demagogica e propagandistica”. Così Stefano Fassina, deputato di Liberi e Uguali, definisce la lettera di Matteo Renzi al Corriere della Sera, in cui il leader di Italia Viva invita il governo a tagliare la spesa in beni e servizi per finanziare il taglio del costo del lavoro. E Fassina aggiunge: “Mi sembra di rivivere le stesse scene vissute nel 2014 quando ero viceministro nel governo Letta”, ma rispetto a ieri suggerisce a Conte e a Zingaretti di “ignorare il bluff politico di Renzi”, lasciando che sia lui “a sfiduciare il governo”.
Onorevole Fassina, lei giudica la lettera di Renzi al Corriere “vergognosa, demagogica e propagandistica”. Perché?
Avrebbe dovuto essere meno disinvolto nello scrivere che è facile far tornare i conti pubblici. Innanzitutto, Renzi è quello che ha fatto esplodere le clausole di salvaguardia, portando in eredità fino al 2020 circa 21 miliardi dei 23 che oggi devono essere sterilizzati. In secondo luogo, durante il suo governo si è raggiunto il minimo storico di investimenti pubblici in rapporto al Pil. Terzo, in merito al punto fondamentale del taglio della spesa di 150 miliardi in beni e servizi, segnalo che oltre l’80% di questa spesa va alla sanità e ai Comuni, solo 25 miliardi fanno capo alle amministrazioni centrali. Quindi Renzi propone, di fatto, di tagliare la sanità e i trasferimenti ai Comuni, rispolverando fuori tempo massimo la solita ricetta liberista che peggiora le condizioni sociali e il quadro economico.
Converrà, però, che in quei 150 miliardi ci saranno pure voci tagliabili o sprechi evitabili, non crede? Un po’ di spending review non farebbe male…
Certo, è chiaro che ci sono cose che non funzionano, non difendo affatto l’allocazione delle risorse così com’è oggi. Però parliamo di quantità molto circoscritte, non certo nell’ordine di grandezza dei 7-8 miliardi di cui parla Renzi, e di settori – voglio sottolinearlo – nei quali la spesa in rapporto al Pil è già la più bassa in Europa e nel tendenziale, cioè nella previsione a cui fa riferimento Renzi, si riduce ancora. Ci sono ambiti drammaticamente sotto-finanziati nella sanità, dove abbiamo 12 milioni di italiani che non hanno accesso alle cure sanitarie perché non se lo possono permettere. A mio avviso, l’operazione di Renzi è solo politica: è in cerca di visibilità.
Da un punto di vista politico, la lettera di Renzi è anche un attacco sia a Zingaretti che a Conte?
Assolutamente sì. È il solito gioco, che ha portato avanti anche quando c’era il governo Letta. Fa il primo della classe e scarica su altri le responsabilità. La mia proposta a Zingaretti è: stacca la spina. Di fronte al ripetersi di tali atteggiamenti, meglio andare a votare che seguire Renzi su una linea liberista che spalanca le praterie alla Lega. Andiamo a votare, così vediamo quanto consenso ha Renzi.
Ma la posizione di Renzi non richiede un chiarimento politico a livello di alleanza di governo?
No, nessun chiarimento politico, inutile perdere tempo. Va detto semplicemente no e si va avanti. Gualtieri vada avanti e ignori Renzi.
E Conte?
Gli proponga di avanzare una proposta circostanziata, nero su bianco, e solo dopo se ne riparla.
Prevede una difficile coesistenza con Italia Viva? Quanto potrebbe logorare il Conte-2?
Lo logora nella misura in cui si sottosta ai suoi ricatti. Nel momento in cui si va a veder il bluff politico, il logoramento finisce. È chiaro che, se si dà spazio ai ricatti, il problema diventa molto complicato.
Una tattica già sperimentata?
Lo dico con grande franchezza: è la stessa situazione che ho vissuto nelle settimane precedenti alle mie dimissioni da viceministro del governo Letta e con Renzi arrivato al Nazareno. Lui che tira le freccette a quelli che stanno a Palazzo Chigi per logorarli e quelli che devono tirare avanti la carretta. Ma c’è una differenza rispetto al 2014.
Quale?
Oggi Zingaretti deve staccare la spina. Vediamo se il coraggioso e audace Renzi è disponibile ad andare al voto o se fa marcia indietro.
Si può aprire una crisi di governo e tornare al voto solo perché Renzi ha scritto una lettera al Corriere?
Il punto chiave è ignorare le proposte di Renzi e lasciare a lui l’onere di sfiduciare Conte.
Con la sua azione di logoramento a fuoco lento e con il fatto che sa muovere con abilità i gruppi parlamentari, come ha dimostrato nella crisi agostana contro Salvini, Renzi può far paura?
Fa paura nel momento in cui il governo e gli altri partiti della maggioranza si sottomettono.
E a lei fa paura?
A Renzi faccio una proposta molto semplice: siccome in Italia siamo tutti bravi a dire che ci sono tanti miliardi di sprechi da tagliare, visto che parliamo di una spesa pubblica da 800 miliardi, presenti un emendamento in commissione Bilancio, dove indica precisamente i programmi di spesa che vuole tagliare, e io lo seguo.
Torniamo alla lettera al Corriere, là dove Renzi dice che Italia Viva si è opposta allo scambio “meno cuneo fiscale-più Iva”. Era davvero questa l’intenzione del governo?
Non lo so. Rimodulare l’Iva era una delle ipotesi sul tavolo, ma sarebbe stato sbagliato aumentarla, perché avrebbe colpito la domanda interna. È un’operazione opposta a quella che invece dovremmo fare: dobbiamo sostenere la domanda interna attraverso l’aumento della spesa per investimenti pubblici. La rimodulazione non tocca solo i beni di lusso, ma anche una fascia di prodotti che vengono acquistati dalla classe media e da persone che oggi sono in grande difficoltà.
Renzi, allora, ha ragione quando dice che bisogna liberare i 36 miliardi di euro per gli investimenti pubblici bloccati da lacci e lacciuoli della burocrazia? C’è l’intenzione del governo di procedere in tal senso?
Questa intenzione c’era anche nel governo Conte-1. Ma – ripeto – Renzi è stato a Palazzo Chigi tre anni e mezzo e ha portato al minimo storico la spesa per investimenti pubblici. Vorrei anche ricordare che lacci e lacciuoli sono un alibi molto comodo.
In che senso?
Quando si parla di 100 miliardi di spesa per investimenti, si fa riferimento alla spesa per competenza, che però non rileva ai fini del deficit, che invece va per cassa. Il fatto che non si spendano quei soldi, già stanziati, aiuta a raggiungere l’obiettivo di deficit fissato. Chi oggi si lamenta di lacci e lacciuoli sul Corriere della Sera, si ricordi che li ha utilizzati per tenere bassa la spesa per investimenti perché aiutava a raggiungere gli obiettivi di deficit.
A proposito di Europa, Gentiloni ha superato l’esame dell’Europarlamento e dal 1° novembre sarà il nuovo commissario Ue all’Economia. Vi aspettate da lui e da Bruxelles un atteggiamento più accondiscendente sulla flessibilità? Non vi preoccupa che, come ha detto lo stesso Gentiloni, dovrà però operare a stretto contatto con il falco Dombrovskis?
Il fatto che Dombrovskis per certi versi coordini l’ambito di attività di Gentiloni è estremamente preoccupante. C’è tuttavia un dato strutturale da tenere presente.
Si riferisce alla crescente difficoltà in cui versa tutta l’Eurozona, Germania inclusa?
Sì. Come dimostra anche la vicenda dei dazi, l’elemento che può aiutare sul fronte della flessibilità è che l’estremismo mercantilista della Germania non ha più lo spazio per affermarsi che ha avuto negli ultimi 30 anni. Quindi, il recupero di domanda interna in ciascun Paese non è una gentile concessione all’Italia, è un’esigenza generale. Se si vuole rianimare l’economia europea, bisogna allentare la finanza pubblica. Il quadro resta difficile, però siamo in uno scenario potenzialmente molto diverso. Speriamo che Bruxelles ne tenga conto.
(Marco Biscella)