LONDRA — Boris Johnson ha presentato il suo piano per la Brexit. Piano che sembra soddisfare sia i brexiteers più duri tra i Conservatori, sia gli unionisti (Dup) dell’Irlanda del Nord, che invece non avevano sostenuto quello dell’ex premier Theresa May. Ma che difficilmente può andar bene, così com’è, all’Unione Europea, che infatti l’ha accolto con freddezza.
A grandi linee, il premier britannico propone di sostituire il backstop – la garanzia per una frontiera aperta tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord (parte del Regno Unito) – con una soluzione a due frontiere. Nell’accordo negoziato dalla May il Regno Unito restava nell’unione doganale dell’Ue, mentre il piano di Johnson prevede che l’Irlanda del Nord resti nel mercato unico per quanto riguarda tutte le merci, ma lasci l’unione doganale dopo il periodo di transizione. La frontiera tra Ue e Regno Unito, che si troverebbe a dividere nord e sud d’Irlanda, è da più di tre anni il nodo inestricabile dei negoziati. Nessuno vuole il ritorno di una frontiera monitorata e protetta, con ispezioni e con personale militare. Potrebbe potenzialmente riportare la violenza, dopo che l’accordo di pace tra nord e sud ha garantito per molti anni l’assenza di controlli e checkpoint di frontiera. L’idea di Johnson è che i controlli verranno fatti lontano dalla zona di frontiera, ma si tratta di un punto ancora poco chiaro. Ora la palla è nel campo di Bruxelles.
Quale sarà il prossimo sviluppo di questa ingarbugliata matassa? Dipende da quale direzione prenderanno i negoziati nei prossimi giorni e quanto – davvero – le controparti vogliono raggiungere un accordo. Sulle intenzioni del premier britannico qualcuno a Bruxelles nutre dubbi. Il piano proposto non sembra pensato per incontrare il favore dell’Ue. Se Bruxelles rigetta il piano di Johnson e il Parlamento britannico riesce a bloccare un’uscita senza accordo, in Gran Bretagna potremmo avere nuove elezioni. Johnson e i Conservatori darebbero la colpa a Bruxelles dell’ulteriore posticipo della Brexit, che potrebbe addirittura essere cancellata. Ma resta la possibilità che il Parlamento non riesca a contrapporsi e allora lo scenario di default il 31 ottobre sarebbe quello della Brexit senza accordo. Il Regno Unito sta spendendo molti soldi in preparazione a questo scenario. Ma l’Ue si sta preparando per una hard Brexit? Quali misure sono state prese dai paesi membri in previsione di questo possibile scenario?
Se non si trova un accordo, non solo il Regno Unito ma anche l’Ue dovrà affrontare le conseguenze di una hard Brexit. Le economie dei paesi dell’Unione ne subiranno i contraccolpi, in un momento di rallentamento della crescita globale. Questa prospettiva gioca forse a favore di Boris Johnson, che potrebbe riuscire a strappare un accordo, alla fine, perché converrebbe a tutti.
Ammesso che Johnson riesca – come dice – a portare il paese fuori dall’Europa il 31 ottobre, senza un accordo e nonostante l’opposizione del Parlamento, la Gran Bretagna ci rimetterebbe più di tutti. Ce lo dicono da almeno tre anni rapporti e analisi redatti dal governo e da altre istituzioni. Ci aspetta come minimo una bella recessione per qualche anno.
Ma l’impatto violento della Brexit si farebbe sentire anche sul Pil dei paesi membri dell’Unione Europea; a cominciare dalla Germania, già alle prese con una recessione del settore manifatturiero. L’export tedesco sarebbe soggetto a ulteriori contraccolpi. Anche l’economia della Repubblica d’Irlanda accuserebbe colpi pesanti, vista la vicinanza geografica e gli stretti rapporti con la Gran Bretagna, senza contare i problemi politici che si creerebbero con l’Irlanda del Nord. Le cose non andrebbero meglio per la Francia, che ha forti legami commerciali con il Regno Unito. I britannici sono il secondo più importante cliente degli esportatori francesi di vino e liquori e il terzo cliente del settore agricolo. Molte aziende francesi si sono stabilite qui. L’impatto sarebbe particolarmente pesante sul settore automobilistico, ma anche la pesca sarebbe penalizzata se i britannici decidessero di interdire le loro acque ai pescatori francesi.
A parte il Regno Unito, quindi, tra i maggiormente impattati da un no deal figurano Germania e Francia, i due paesi che contano di più nell’Ue. Ci sarebbero poi effetti a catena anche per gli altri paesi, Italia compresa, per la quale il Regno Unito rappresenta un importante mercato di destinazione dell’export. Bruxelles e i vari leader dei paesi europei conoscono bene questi rischi. Qualche giorno fa, il premier spagnolo Pedro Sanchez, intervistato al Bloomberg Global Business Forum a New York, ha detto che la maggior minaccia per l’economia spagnola è la prospettiva di una Brexit senza accordo.
In settimana riprendono i negoziati. Trovare un accordo, anche se il tempo stringe, converrebbe a tutti.